Un cognome.

Da dove viene questo pezzo di storia che ci portiamo dietro quasi senza accorgercene?

Zucconi è una parola semplice, italiana e comprensibile a tutti senza alcuno sforzo.

E’ composta da una radice che rimanda all’ortaggio autunnale che tutti ben conosciamo, nei risotti, nel pane ed in tante altre ricette molto legate alla cucina povera e contadina: la zucca.

Ha il suffisso –oni che indica la dimensione fisica dell’oggetto in questione: una grande zucca, una zuccona.

Ma questa semplice parola, come spesso accade alle parole semplici, può essere usata anche per indicare qualcos’altro, soprattutto se declinata al maschile: zuccone.

Quante volte ce lo siamo sentito rivolgere questo epiteto: “Sei uno zuccone! Ecco cosa sei!”? Io molte e nel mio caso ha sempre avuto un ché di speciale, perché sembrava che venisse a confermare il possesso di qualcosa che già mi apparteneva: rimbombava quasi nel vuoto della mia zucca e lo riempiva di nuovi significati.

Quando ero bambino poi, se per caso esso veniva rivolto a qualcun altro nelle mie vicinanze, sortiva sempre l’effetto di procurarmi scuse che assolutamente io non volevo: “Siete degli zucconi! Ecco cosa siete!…scusami, non tu, Stefano, eh?” si affrettava subito a dirmi la maestra Pasqualina Castagna, ed io mi sentivo defraudato del mio possesso.

Zuccone, testa dura di comprendonio, testa vuota come una zucca secca dentro cui risuonano sordi i semi liberati dalla polpa, “ignorante” come probabilmente son sempre stati coloro che nei secoli l’hanno coltivata, a quella ignoranza costretti da problemi più pressanti della conoscenza etimologica di una parola. Zucca vuota, senza sale e, per di più, grande.

E’ vero: nel corso dei secoli sono diventati cognomi epiteti ben peggiori di questo, cognomi più buffi e derisori, per non parlare dei nomi che a volte sono anche peggio. Ognuno di noi ne ha sentiti in vita sua molti e da quando c’è internet si possono trovare siti che li raccolgono in liste lunghissime, per la gioia di chi vuole ridere con poco … eppure … “zuccone” è un insulto, non è solo buffo, non è solo derisorio, è un tentativo di offendere colui al quale viene rivolto: persona della quale si pensa che sia sciocca, ignorante o che, siccome non vuol convincersi di aver torto, è testarda e caparbia, ma volendo indicarne l’ottusità mentale. Lo dice il vocabolario.

Non sto scrivendo queste cose per giustificare un qualche trauma infantile. Col mio cognome ci sono cresciuto, mi ci sono abituato, ho imparato a difenderlo da facili battute dei compagni di scuola, grazie al valore di chi lo ha portato con dignità prima di me sono giunto ad amarlo, fino ad esserne fanciullescamente fiero.

Oggi in Italia è difficile cambiare il proprio cognome, bisogna rivolgersi all’anagrafe, seguire una trafila burocratica più o meno lunga e le motivazioni per cui si inoltra la richiesta devono avere carattere di eccezionalità, la decisione spetta al Prefetto e l’atto va notificato al Ministero dell’Interno.

Vi è stato un tempo però in cui i cognomi non esistevano, non vi era alcun ufficio dell’anagrafe e le persone venivano chiamate col nome imposto dal prete durante il battesimo cattolico, in certi casi col nome del padre affiancato al proprio e comunque sempre con un soprannome che veniva loro appioppato dalla comunità entro la quale passavano la maggior parte della propria vita.

Pian piano tra il 1200 ed il 1300, per varie ragioni, un secondo nome comincia a fissarsi sugli individui insieme al nome di battesimo, anche tra i meno abbienti: il patronimico, la località di provenienza, le caratteristiche fisiche, caratteriali o professionali che hanno fatto scaturire soprannomi più o meno fantasiosi diventano così cognomi da trasmettere alle future generazioni.

Fu quello il tempo in cui qualcuno decise che Zucconi come cognome andava bene, era quello il tempo in cui ancora sarebbe stato possibile e facile cambiarlo del tutto o anche solo attenuarne la componente ingiuriosa con una piccola modifica, ma ciò non avvenne.

Perché?

Forse perché in quei tempi remoti la parola “zuccone” voleva dire qualcos’altro di per nulla ingiurioso come invece lo è diventato poi?

Forse perché quell’epiteto venne accettato per contrasto da chi non era affatto uno zuccone o per sfidarsi a non esserlo?

Forse perché quel nome era legato a qualche luogo, impresa, lavoro o memoria?

Da qui prendono le mosse la mia riflessione, la mia ipotesi, un gioco intellettuale ed un modo di raccontare e di raccontarmi a chi avrà la benevolenza di leggermi e di fare questa storia anche un po’ sua.