ZUΧU
Una corrispondenza.
Come già accennato in FUNDUS SUCCONIANUS, alla voce relativa nell’obbligazione di Cornelia Severa, vari studiosi, delle tesi dei quali darò qui conto, ritengono che il gentilizio latino Succonius/Socconius corrisponda a quello etrusco Zuχu/Sucu ( χ = lettera chi, è il segno grafico greco per esprimere la pronuncia aspirata della velare sorda C < KH).
In questa pagina citerò le fonti a sostegno di questa corrispondenza e quelle contrarie, ed illustrerò i motivi per cui non è ancora possibile proporre una traduzione certa direttamente dall’etrusco, senza tralasciare però le * congetture più o meno ben argomentate sui suoi possibili significati. Al di là di ogni pretesa ermeneutica, resterà comunque la raccolta di ogni occorrenza riconducibile all’ipotesi di lavoro.
Premessa
Prima di elencare tutte le fonti è necessario premettere che non esistono (o non sono ancora stati scoperti) documenti espliciti (tipo iscrizioni bilingui) in grado di dimostrare in modo incontrovertibile la corrispondenza tra gentilizio etrusco e gentilizio latino: le occorrenze sono relativamente poche, sporadiche, sparse sul vasto territorio abitato da Etruschi, Latini, Falisci ed Umbri, anche lontane in alcuni casi nel tempo l’una dall’altra. Per esempio la prova della traduzione del nomen etrusco in quello latino, passando attraverso il falisco, poggia su di una singola occorrenza (sia pur fortemente probante per varie ragioni) ed in linguistica c’è un motto che dice “unum exemplum, nullum exemplum“: il caso singolo non vale nulla. Non si ha a che fare con registri anagrafici, estimi o censuali completi, precisi e ben compilati, ma con iscrizioni per lo più funerarie, a volte leggibili con difficoltà, apposte a supporti di varia natura e destinazione, a volte mobili, prodotti altrove e della cui provenienza non si è certi; inoltre il sistema antroponimico non ha ancora i caratteri di sistematicità che assumerà nel mondo romano, per cui in certi casi è difficile perfino distinguere tra prenome e gentilizio; infine, sebbene spesso sia difficile proporre traduzioni puntuali del corposo lascito epigrafico etrusco, gli studiosi hanno potuto comunque rilevare differenze di tipo grafico tra varie scuole di scribi e dialettali tra aree settentrionali e meridionali dell’Etruria antica e perfino tra città, differenze che rendono ancor più difficile scoprire l’eventuale origine lessicale di molti antroponimi. Tutto ciò impedisce, anche ai più esperti accademici oserei dire, di esporre qualcosa che vada al di là di una mera ipotesi che, pertanto, dovrà essere come minimo internamente coerente (in base a datazioni, regole paleografiche e fonetico/linguistiche) e ben argomentata. Sebbene Suc(c)onius/Soc(c)onius/Socen(n)ius sia abbastanza diffuso in varie città, la datazione di ogni sua occorrenza non è anteriore al I sec. d.C. (vd. pag. UOMINI – EVO ANTICO), e questo fatto impedisce di avere alcuna granitica certezza sia su affermazioni che su negazioni riguardo la sua discendenza diretta dal gentilizio etrusco che qui si cerca di dimostrare (anche se, naturalmente, l’onere della prova è a carico di chi propone l’ipotesi).
A questa evidenza bisogna aggiungere che un soprannome personale, attribuito ad un antenato e costruito utilizzando un qualche vocabolo del lessico a lui contemporaneo, nel momento in cui viene scelto dai discendenti come nome per identificare tutta la famiglia si cristallizza nella forma e nei significati tipici del periodo storico in cui venne eletto e, salvo storpiature ed errori di trascrizione, quelli mantiene sempre perché, per identificare un’intera progenie, la forma diventa più importante del significato. A causa di ciò diventa più difficile riconoscere con certezza il lemma d’origine e quindi proporne una traduzione. Questo fenomeno si è verificato anche nei nostri cognomi attuali di cui, a distanza di secoli dalla formazione, in molti casi non si capisce immediatamente il significato originario: fossili viventi.
Non di meno ritengo sia importante raccogliere qui, oltre al certo, anche il probabile e perfino il possibile, sia come punto di arrivo del mio lavoro, sia come punto di partenza qualora emergessero nuovi reperti a suo sostegno o confutazione.
Fonti
Quasi tutte le occorrenze in cui compare la sigla di catalogazione ET sono reperibili in “Etruskische Texte: Texte. Bd. 2“, Helmut Rix, ed. GNV – 1991, basta inserire la sigla acronimo della città da cui provengono (Ar, Cr, Cl, etc.) nella finestra di ricerca.
In “Prosopographia Etrusca“, del professor Massimo Morandi Tarabella, ed. L’Erma di Bretschneider 2004, si citano diverse iscrizioni, sia sepolcrali sia dedicatorie, rinvenute in alcune tombe e su oggetti parlanti disseminati sul territorio meridionale dell’Etruria, nelle quali è presente il gentilizio in questione.
Zuχu
A Corchiano, nella zona dell’agro falisco, ed a Orvieto e Chiusi prevale l’etrusca e sensibilmente più diffusa iniziale Z:
1) Zuqu hapax arcaico (avi]le zuqu me turace men[er]avas, Veio, Portonaccio, fine VI inizi V sec a.C.[Avil]e Zuqu-me, ET Ve 3.29).
2) Zucenas hapax arcaico (>lat. Sociennus?, {le} mi venelus zucenas, Falc – Vulci?, REE 39,45*).
3) Zuχus, Larece Mutus (2mi lareces zuχus mutus 1suθi, Orvieto, necropoli della Cannicella, tardo VI sec., CIE 5037, ET Vs 1.136), su blocco di tufo scoperto all’ingresso di una tomba nel 1879 conservato presso il Museo dell’Opera del Duomo di Orvieto, individuo che porta già in età arcaica o il secondo gentilizio o un cognomen, cioè un soprannome: Mutu.
4) Zuχus, Lariśa (lariśazuχus, Corchiano, sepolcreto del Vallone, IV sec. CIE 8382, ET Fa 2.15), ma per la datazione di questo reperto bisogna fare una precisazione dedicata (vd. sotto).
5) Zuχus in CIE 3403, ET Pe 1.965
6) Zuχus in CIE 2247, ET Cl 1.1771
7) Zuχnal (4 occorrenze: ar: remzna: nuś(t)e: zuχna(l), Chiusi, Colle, CIE 1194, ET Cl 1.168; aθ: remzna: zuχnal, Chiusi, Colle, CIE 1195, ET Cl 1.170 ed aθ remzna zuχnal, Chiusi, Colle, REE 50.5*, ET 1.171; θana: remnzei: zuχ 2nal, Chiusi, Pian dei Ponti, II sec. a.C., CIE 1253, ET Cl 1.60; ET Cl 1.832; ET Cl 1.2319).
8) Zuχni in CIE 2248, ET Cl 1.1767.
9) Zuχnis in CIE 2249, ET Cl. 1.1768.
10) Zuχu, Velscu in CIE 2123, ET Cl 1.1619 e CIE 2246, ET Cl 1.1769 e Cl 1.1770.
11) Zuχu, Pumpu in CIE 2633, ET Cl 1.2173.
(tutti gli Zuχu di Chiusi da 6) a 11) nelle varie forme sono probabili retroformazioni).
A queste vanno aggiunte le varie forme non antroponimiche:
zuχuna, presente in due iscrizioni:
1) una probabile tabella defixionis, o comunque testo devozionale, di Santa Marinella conosciuta anche come Punta Vipera (Cerveteri/Caere-Castrum Novum, VI-V sec. a.C., CIE 6310, ET Cr 4.10, TLE 878; ThLE¹²);
2) iscrizione rinvenuta nella Tomba delle Iscrizioni Graffite, a Cerveteri (ET Cr 1.197).
zuχne (TC, V sec. a.C., probabilmente si tratta di un deverbale), presente nella Tavola Capuana.
zucre (av: śure: zucre [, Arezzo, Lucignano, datazione incerta ET Ar 1.24), su coperchio di ossuario.
zuci (…zuci enesci…pr. zuchi, Perugia, collina di san Marco, III/II sec. a.C., CIE 4538; TLE 570; ET, Pe 8.4), presente nel cippo di Perugia.
Così in Prosopographia:
CCXXVIII. ZUQUME
1. [Avi]le Zuqume. Veio. COLONNA, I987a, pp. 421-423; ET V c 3.29. Personaggio maschile autore della dedica a Minerva, nel santuario di Portonaccio, di una kylix del tipo “floral band-cup” con labbro filettato, ora perduta.
Il testo della dedica è stato stabilito dal Colonna nel modo seguente: [mini Avi]le Zuqume turace Me[ner]avas. Zuqume, hapax, è una formazione ampliata con suffisso -me del gentilizio *Zucu / Sucu, noto anche nella variante Zuχu.
CCXXIX. ZUXU
1. Larece Zuχus Mutus. Volsinii, Orvieto. CIE 5037; ET Vs 1.136. Titolare di una tomba a camera nella necropoli della Cannicella, da porre alla fine del VI secolo a.C. Oltre che dal nome di famiglia il personaggio è identificato dal cognomen Mutus (cfr. DE SIMONE, 1980, p. 37).
2. Larisa Zuχus. Corchiano, agro falisco. CIE 8382+add; GIACOMELLI, 1963, n. 45, p. 63; CRISTOFANI, 1988, p. 23, n. II; PERUZZI, 1990, p. 278; ET Fa 2.15. Formula onomastica bimembre graffita su un calice di bucchero pesante da una tomba a camera del sepolcreto di S. Antonio, da porre verso la fine del IV secolo a.C., contenente sei deposizioni. Dall’iscrizione di possesso si risale ad un nome in caso zero Laris Zuχus.
Gentilizio formato sull’omomorfo nome individuale, da cui si producono regolari derivati in -na (Zuχuna, da Caere-Castrum Novum, CIE 6310, VI-V secolo a.C.) sincopati in neo-etrusco (Zuχna e Zuχni a Chiusi, CIE 1194, 1195, 1253, 2248, 2249 ecc.). Il derivato Zuχ(u)na è testimoniato ancora a Corchiano dalla formula onomastica faliscizzata verso la fine del IV secolo a.C. di Poplia Zuconia (CIE 8385), sepolta in una tomba a camera del sepolcreto in contrada S. Antonio. Valido appare anche il collegamento linguistico al gentilizio ceretano Sucu e al veiente Zuqume, su cui vd. s.vv.
(cit. “Prosopographia Etrusca“, di Massimo Morandi Tarabella, ed. L’Erma di Bretschneider 2004).
A queste considerazioni aggiunge in “Prosopographia Etrusca – Studia Gentium Mobilitas“, Massimo Morandi Tarabella, ed. L’Erma di Bretschneider 2004:
n. 25
TESTO: avi]le zuqu me turace men[er]avas
]le zuqu {me} turace men[er]avas (ET)
v.l. zuqume (DE SIMONE, COLONNA, CIE)
MORFOSINTASSI: S[*PNnom(m) + INGnom(m)] + OD[PRONnom] + V[PRAET] + 01[TEONgen] FORMULA ONOMASTICA: Avi/le Zuqu
GENERE DEL DESIGNATUM: maschile
ING: Zuqu
FORMAZIONE: nome in -u <*Zuq-u
ORIGINE DEL PN: etrusca?
ORIGINE DELL’ING: etrusca
CONTESTO: Veii, santuario del Portonaccio. kylix “floral band-cup” con labbro filettato, ora perduta.
CRONOLOGIA: 525-500 a.C.
BIBLIOGRAFIA: COLONNA 1987. p. 423; DE SIMONE I989b. p. 206; ET Ve 3.29; PE 1,1.CCXXVIII.1; CIE 6418.
La lettura dell’iscrizione è complicata dalle opzioni di divisio verborum tra la seconda parola conservata e la terza. Uno sguardo generale all’esecuzione del testo ci può essere di aiuto per una valutazione generale e una sua interpretazione. Si rilevano diversi errori esecutori, anche nell’espressione dell’OI della dedica, in GEN dopo turuce invece che in DAT. Il me che Rix espunge e che Colonna ritiene far parte del PN (in –me), è forse da ritenere un tentativo di esprimere l’oggetto di turuce, quindi è da considerare equivalente a mini. Nel complesso l’aspetto “sociografico” denuncia molte incertezze: la c di turuce è inserita in seguito ad una e di piccole dimensioni: si tratta forse di un ripensamento, ovvero turace invece di turuce; ciò che rimane alla fine del testo di Menervas, OI della dedica espressa però in genitivo, è in realtà solo me[…]avas. A questo punto propenderei quindi per una lettura Zuqu, più plausibile anche come ING che non Zuqume. Le formazioni gentilizie già arcaiche Zuxuna (da Caere, Castrum Novum CIE 6310; VI-V secolo a.C.) e i gentilizi recenti Zuχna e Zuχni (Chiusi CE 1194, 1195, 1253, 2248, 2249 ecc.) infatti, pur con la variante aspirata, riconducono più plausibilmente ad un PN Zuχu/Zuqu.
…
n. 64
TESTO: a) suθi b) mi lareces zuχus mutus
MORFOSINTASSI: b) S[PRONnom) + CS(PNgen(m) + INGgen(m) + COgen(m)] FORMULA ONOMASTICA: Larece Zuχus Mutus
GENERE DEL DESIGNATUM: maschile ING:
FORMAZIONE: nome in -u <*Zuχ-u
ORIGINE DEL PN: etrusca
ORIGINE DELL’1NG: etrusca
ORIGINE DEL CO: etrusca
CONTESTO: Volsinii, necropoli della Cannicella, fronte della tomba.
CRONOLOGIA: 525-475 a.C.
BIBLIOGRAFIA: RIX, Cognomen, p. 194; RIX 1972, p. 738; CIE 5037; ET Vs 1.136; PE I, CCXXIX, 1.
Si tratta di una formula onomastica trinomia per i quali l’interpretazione si deve basare, come negli altri casi visti in precedenza, su principi statistici. Dei tre elementi, il primo è PN etrusco noto e diffuso, il secondo svolge, come nella maggior parte delle formule trimembri, la funzione di gentilizio (qui ING), e il terzo può essere cognome o patronimico. Secondo Rix, il fatto che Mutu non sia noto come PN fa ritenere che si tratti di un cognome. La stessa interpretazione è anche in DE SIMONE 1980 (pag. 37), che nota come il cognome non è ancora diffuso in età arcaica come lo sarà poi in età recente. Il nome Zuχu, noto anche nelle formazioni gentilizie Zuχuna (rec. Zuχnal, Zuχni) è da attribuire ad ambito etrusco, ed è attestato in età recente soprattutto a Chiusi.
Sucu
Più a sud, sulla costa tirrenica e forse maggiormente sotto l’influsso latino si trova anche l’iniziale S:
1) Sucisnaia, Θanakvil (<Sucisna, miθanakviluśsucisnaia, Cere?, 620-580 a.C., CIE 6712, ET Cr 2.42), nome femminile graffita su un frammento vascolare in bucchero di probabile origine ceretana.
2) Sukisna, Laive (milaivessukisnas, Vulci, sepolcreto della Banditella, Marsiliana d’Albegna, ET AV 2.1, secondo quarto VII sec. a.C.), su tripode bronzeo.
Entrambe probabilmente originati da un nome personale Suc-i, da cui deriva probabilmente anche il metronimico latino Sucia, relativo all’iscrizione presente in CIL XI, 2020 (A.PETRONIUS.L.F.SUCIAE.CMT [curavit monumenti titulum]) proveniente da Perugia, primo quarto del I sec. a.C.
3) Sucnei, Larθi Cainei (1a. titeś. crespe. 2larθi. cainei 3sucnei, Arezzo, necropoli di Bettolle, epoca incerta V-I sec. a.C., CIE 414, ET Ar 1.16), di certo derivato da <Sucu-ne-i è un gentilizio femminile secondo Morandi Tarabella, un cognomen secondo Benelli, aretino (ma di influenza chiusina); su ossuario, la formula presenta due individui, uno maschile ed uno femminile, con doppio gentilizio entrambi.
4) Śuca in CIE 1170, secondo correzione di ET Cl 1.18 (lautni. śuca, Chiusi, Val d’Acqua, II sec. a.C.), nome di una schiava liberta (lautni).
5) Sucle, Aule Cae in CIE 3300, secondo correzione di ET Cl 1.641 (aule:cae sucle, area chiusina, Torre di Beccati, datazione incerta V-I sec a.C.).
6) Sucnal, V Turmna in ET Co 1.35 (v:turmna:sucnal, ossuario, Cortona, loci incerti).
→ Sucu invece sembrerebbe esclusivo di Cerveteri dove, presso la necropoli della Banditaccia, nella zona del Tumulo della Tegola Dipinta, è presente una tomba, scoperta nel 1967, di questa gens composta da vari elementi dei quali:
7) Sucus, Larθ (metà del IV sec., CIE 6211; ET Cr 1.155) è l’individuo che dà il nome all’ipogeo;
8) 3 individui (ranθu vincnai sucus ati, Ranθu Vincnai madre di Sucu, seconda metà del IV sec. a.C., CIE 6206, ET Cr 1.152), presenti nella stessa tomba e della cui parentela si può esser ragionevolmente sicuri solo nel caso Ranθu Vincnai come madre (ati) di Larθ Sucus.
→ altri 3 individui della stessa gens Sucu, i cui nomi risultano incisi su alcuni oggetti dedicatori probabilmente provenienti sempre da Cerveteri:
9) Sucus, L[arθ?] figlio di L[arθ?] (datazione incerta, CIE 6235; ET Cr 1.172; CII 1,449):
684. l(arθ) ∙ sucus ∙ l(arθal) ∙ c(lan)
CIE 6235; CII I 449; ET Cr 1.172; Blumhofer, 65, No. 7+; PE, DXXX. 2, p. 495.
Of unknown provenance. “In una stele a Cerveteri”. Now disappeared.
Insufficient criteria for dating.
(cit. “THE SOUTH ETRUSCAN CIPPUS INSCRIPTIONS (SECI)“, Jorma Kaimio, Acta Instituti Romani Finlandiae Vol. 44, Roma – 2017)
10) Sucus, Larθi Rupsai (1marce.lapicanes.turis 2larθi.sucus.rupsai:, fine IV – inizio III sec. a.C., ET Cr 2.131);
11) Sucui, Ramθa, figlia di Marce (Sucus) (ramθa.sucui.marces.seχ, fine IV – inizio III sec. a.C., CIE 6064; ET Cr 1.100; CIL XI 7715; ):
553. ramθa ∙ sucui ∙ marces ∙ seχ
CIE 6064, Tab. LXXIII; CIL XI 7715; NRIE 946; ET Cr 1.100; Blumhofer, 75, No. 3, Taf. 23; PE, DXXX. 3, p. 495.
Found in Tomb No. 164 of the Hellenistic period. Type Blumhofer IIIa1, of peperino. Inv. No. 12. H 27 cm, B 37 cm, D 16 cm. Inscription on the “roof”. Letters 2-2.5 cm high. 1st half of 3rd century B.C.
(cit. “THE SOUTH ETRUSCAN CIPPUS INSCRIPTIONS (SECI)“, Jorma Kaimio, Acta Instituti Romani Finlandiae Vol. 44, Roma – 2017)
12) Sucius, Seie (?) titianuseiesucius, coperchio di un vaso in rozza terracotta del IV-III sec. a.C. (vedi sotto).
Così in Prosopographia:
DXXIX. SUCISNA / SUIKISNA
1. Θanakvil Sucisnaia. Cerveteri (?). TLE 766: AGOSTINIANI, 1982, n. 526; ET Cr 2.42; MARCHESINI, 1997, p. 47, n. 79. Personaggio femminile conosciuto dall’iscrizione di possesso in scrittura continua mi Θanakviluś Sucisnaia, graffita su un frammento vascolare in bucchero forse di origine ceretana (Marchesini). 620-580 a.C.
2. Laive Sukisnas. Marsiliana d’Albegna, agro di Vulci. CRISTOFANI, 1973-74, pp. 151-153; ET AV 2.1. Personaggio maschile titolare di un tripode bronzeo facente pane della suppellettile della tomba X del sepolcreto della Banditella, databile per la ricca composizione di ori, argenti e vasellame bronzeo al secondo quarto del VII secolo a.C. (Cristofani).
Gentilizio di ambito meridionale tirrenico, non più attestato dopo i primi decenni del VI secolo a.C. L’iscrizione dichiarante la proprietà del tripode di Marsiliana, mi Laives Sukisnas, incisa in scrittura ininterrotta sul piede, offre testimonianza del raro prenome Laive, responsabile della formazione del gentilizio orvietano Laivena (vd. s.v.), forse attestato anche nella tomba dell’Orco I nella variante Lei[ve] (TLE 84; vd. s.v. Murina).
DXXX. SUCU
1. Larθ Sucus. Cerveteri. CIE 6211; ET Cr 1.155. Riceve sepoltura nella tomba della gens Sucu, scoperta nel 1967 nella necropoli della Banditaccia, nella zona della “Tegola Dipinta”, databile nella seconda metà del IV secolo a.C. La formula onomastica era scolpita su un frammento di tufo staccatosi dalla banchina sinistra; madre di Larθ è probabilmente quella Ranθu Vincnai intimata immediatamente a destra della porta (vd. s.v. Vin(a)cna, n. 2).
2. L(arθ?) Sucus, figlio di L(arθ?). Cerveteri. CII I, 449; CIE 6235; ET Cr 1.172. Titolare di una stele o cippo sepolcrale di origine incerta, ricordato dal Fabretti ed ora perduto. Età recente.
3. Ramθa Sucui, figlia di Marce (Sucus). Cerveteri. MENGARELLI, 1915, p. 382, n. 122; CIL XI, 7715; NRIE 946; CIE 6064; ET Cr 1.100. Titolare di un cippo in peperino, rinvenuto dal Mengarelli nella tomba n. 164 della necropoli della Banditaccia. Fine IV – inizi III secolo a.C. (Di seguito l’immagine esatta dell’iscrizione presa da “Iscrizioni etrusche: leggerle e capirle”, Enrico Benelli, Ancona, SACI edizioni, 2007; nota mia):
4. Larθi Sucus Rupsai. Cerveteri. CRISTOFANI-PROIETTI, 1982, p. 70; PROIETTI, 1985a, p. 235, n. 45; ET Cr 2.131. Personaggio femminile ricordato nell’iscrizione di possesso incisa sotto il piede di un piattello Genucilia di origine incerta, risalente alla fine del IV – inizi del III secolo a.C. La formula onomastica consta di prenome-gentilizio-cognome; è associata sullo stesso piattello a quella di un uomo, Marce Lapicanes Turis, verosimilmente suo marito (vd. s.v. Lapicane, n. 1). È notevole l’uso della desinenza del genitivo maschile per il gentilizio, mentre il cognome è regolarmente al femminile. (Di seguito l’immagine esatta dell’iscrizione presa da “Iscrizioni etrusche: leggerle e capirle”, Enrico Benelli, Ancona, SACI edizioni, 2007; nota mia):
Altri individui sepolti nella tomba della gens nella necropoli della Banditaccia sono:
Veinz(a) Armi, personaggio muliebre; (vd. s.v. Arme). Ramθa Haθri; (vd. s.v. Haθre). Ranθu Vincnai; (vd. s.v. Vin(a)cna).
La gens dei Sucu è rappresentata a partire dal IV secolo a.C. a Cerveteri da due uomini (nn. 1, 2) e da due donne (nn. 3, 4); rapporti di parentela sono recuperabili solo per il n. 1, figlio di una Vincnai, e per la n. 4, moglie di un Lapicanes. Quanto agli ipogei di pertinenza, uno almeno sembra individuabile nella necropoli della Banditaccia grazie al sepolto n. 1. Sucu sembrerebbe esclusivo della città in discorso, essendo costituito l’unico possibile richiamo dal gentilizio femminile Sucnei di Arezzo (CIE 414, certo derivato da <Sucu-ne-i). Sensibilmente più diffusa è viceversa l’altra variante, Zuχu, documentata a partire dal tardo VI secolo a.C. con un sepolto ad Orvieto-Cannicella (vd. s.v. Zuχu, n. 1), quindi nel IV secolo a.C. a Corchiano con un uomo conosciuto da un testo vascolare (vd. s.v., n. 2), infine a Chiusi (Velscu Zuχu CIE 2123, CIE 2246, Pumpu Zuχu CIE 2633; vd. anche s.v. per le occorrenze dei derivati Zuχuna, Zuχna e Zuχni)”. In particolare l’epigrafia funeraria di Corchiano si rivela di un certo interesse anche per gli indizi che essa offre riguardo alla progressiva faliscizzazione dell’onomastica etrusca degli immigrati ivi residenti: nel caso di Sucu/Zuχu, il fenomeno è dimostrato per il IV secolo a.C. dalla formula bimembre di una Poplia Zuconia (CIE 8385), sepolta nella necropoli di S. Antonio assieme ad altri etruschi “faliscizzati”: un Ma(r)cena con la moglie Morenez (CIE 8384), un Marcna con la moglie Citiai (CIE 8386). Zuconia costituisce la “traduzione” in ambiente linguistico falisco di un originario gentilizio etrusco Zuχu, o meglio Zuχuna, così come il latino ci restituisce le forme Socconius, Succonius, Socennius. Il passo ulteriore, ovvero legare a livello genealogico gli Zuconii di Corchiano con i Sucu di Caere, non può tuttavia essere compiuto, per la totale mancanza di elementi sfruttabili in tal senso nelle filiazioni.
(Vale la pena richiamare anche l’iscrizione di possesso arcaica di origine incerta edita da FALCONI /MORELIA, 1971, p. 359. n. 45, con ipotetica attribuzione a Vulci, menzionante un [le mi] Venelus Zucenas il cui gentilizio è in indubbio rapporto con la base onomastica Sucu/Zuχu.)
(ZGLE. p. 233; PERUZZI, 1990, p. 278. I gentilizi latini Socconius, Succonius, Socennius, ora richiamati, derivano senza alcun dubbio da *Sucuna/Zuχuna, mentre a Sucu risale il metronimico Suciae cnatus) di CIL VII 2020 (Perugia).
(cit. “Prosopographia Etrusca“, di Massimo Morandi Tarabella, ed. L’Erma di Bretschneider 2004).
Per completare il catalogo delle occorrenze aggiungo che, per quanto riguarda la n°12), durante la campagna di scavi del settembre 2016 a Castrum Novum (Cerveteri) condotti anche dal professor Enrico Benelli, in località Santa Marinella (Roma) insieme ad altri reperti è stato rinvenuto il coperchio di un vaso in rozza terracotta del IV-III sec. a.C. Esso reca un’iscrizione in scriptio continua (senza interruzioni) molto interessante, sia per l’aspetto paleografico, sia per questa ricerca: titianuseiesucius, che rappresenta un gruppo di nomi appartenenti a tre o quattro persone a seconda della separazione delle parole che si può ragionevolmente applicare facendone una lettura critica (Titi Anu Seie Sucius). L’analisi del reperto con tutte le considerazioni seguenti all’autopsia è consultabile in “Castrum Novum – I materiali etruschi dall’area urbana antica“, E. Benelli, F. Enei, Ecole Française de Rome – 2017, pagg. 12-15. Qui rileva soltanto riportare un ulteriore possibile gentilizio derivante dalla radice suc-: Seie Sucius (genitivo di Suciu).
L’alternativa a questa lettura sarebbe una separazione dei nomi che conducesse a Seies Ucius, entrambi antroponimi ben attestati e quindi altrettanto probabili.
Nella nota n. 15 a pag. 29 poi il professore ricorda altri antroponimi derivanti da suc-: oltre ai già citati Sucnei (catalogato qui come cognomen, Bettolle, CIE 414, ET Ar. 1.61) e Sucu (Caere, Banditaccia), anche il nome individuale di una schiava liberta Śuca in CIE 1170, secondo correzione di ET Cl 1.18 (lautni. śuca, Chiusi, Val d’Acqua, II sec. a.C.), ed anche Sucle in CIE 3300, secondo correzione di ET Cl 1.641 (aule:cae sucle, area chiusina, Torre di Beccati, datazione incerta V-I sec a.C.) e Sucnal in ET Co 1.35 (v:turmna:sucnal, ossuario, Cortona, loci incerti); si conclude infine dicendo che, rispetto al considerare Sucius come derivante da un nome proprio di persona, “meno promettente sarebbe un’interpretazione come vocabolo, per riferimento alla radice śuc- (grafia settentrionale), attestata ripetutamente nel LL (III sec. a.C., nota mia) sia in senso nominale che verbale (śuci, śuciva, śucri: cfr. Belfiore 2010, p. 145-146)” (op. cit.).
Poplia Zuconia
Il professor Tarabella cita il caso della “traduzione” dell’etrusco Zuχu (o dello zuχuna già incontrato a Cerveteri in una tabella defixionis, ma probabilmente diffuso anche in altre località, il quale, se si trattasse di un antroponimo, sarebbe traducibile in italiano come “appartenente alla famiglia degli Zuχu“, dove il suffisso aggettivante –na ha la funzione di formare il gentilizio) con il falisco Zuconia, scritta sinistrorsa in caratteri falisci su una tegola sepolcrale del IV-III secolo a.C. (tipica delle tombe alla cappuccina, abitualmente occupate dalle classi meno abbienti). E’ dedicata ad una Poplia Zuconia (CIE 8385) sepolta a Corchiano, etrusca sia per il gentilizio che per il prenome, nella tomba n° 28 del sepolcro di sant’Antonio, insieme ad altri etruschi “faliscizzati”: Ma[r]cena con la moglie Morenez (CIE 8384, ET Fa 1.1), dove, la z finale, potrebbe indicare la pronuncia sorda di quella s finale che si sarebbe trovata nella forma etrusca dell’antroponimo, e Marcna con la moglie Citiai (CIE 8386, ET Fa 1.2).
Questa sarebbe la prova diretta della corrispondenza linguistica/grafica del gentilizio tra la sua forma etrusca e quella falisca, dialetto molto simile al latino, in cui la desinenza –u (secondo il Pittau è probabile che in etrusco fosse pronunciata -un) si trasforma nella -on- di –on-ius/-on-ia, “traduzione” dovuta probabilmente ad una immigrazione e successiva integrazione (per ottenimento della cittadinanza, ad es.) in ambito culturale falisco di elementi etruschi.
Questo collegamento non può essere fatto invece a livello genealogico poiché manca qualsiasi prova che i Sucu di Cerveteri discendessero direttamente dagli Zuχu/Zuconii di Corchiano, ma è logico pensare che il gentilizio, una volta traslitterato, sia stato trasmesso nella nuova forma alle generazioni successive.
Si può verosimilmente ipotizzare che la stessa cosa sia accaduta nella lunghissima fase di mescolamento etnico e culturale (che porterà anche alla nascita della città di Roma) tra Latini, Etruschi, Sabini ed altre popolazioni coabitanti sul territorio dell’Italia centrale con la trasformazione del gentilizio etrusco dalle/alle sue forme Sucuna / Zuχuna / Zucenas dalle/alle latine Succonius / Socconius / Sociennus, sicuramente corrispondenti fra loro, senza poter dire con certezza quale radice sia derivata dall’altra: tanto è possibile infatti che sia in latino sia in etrusco si usasse la stessa radice per indicare un medesimo oggetto o concetto, e che questo lessema sia diventato cognomen prima e nomen poi durante un processo coevo alle due comunità linguistiche, quanto è impossibile stabilire con certezza che lingua parlasse ed a quale background culturale appartenesse il possessore di un dato gentilizio. Esso in molti casi veniva scelto dalla discendenza per consolidare un’avvenuta integrazione, nel caso la provenienza dell’antenato fosse stata straniera, ed ovviamente si optava per la forma linguistica dell’antroponimo più vicina a quella della comunità d’accoglienza.
Tuttavia la maggiore antichità delle iscrizioni riportanti il gentilizio nella forma etrusca, rispetto a quelle recanti la forma latina, lascia supporre che il primo abbia fatto quantomeno da modello per il secondo, come argomentato in “L’alfabeto latino alla conquista dell’Etruria” – A. Maggiani, Università Ca’ Foscari, Venezia 2015, dove si analizzano le fasi temporali della trasformazione.
Tavola diacronica
Dalla catalogazione di ogni periodo storico e collocazione geografica di ogni singola occorrenza ho tratto la seguente tavola diacronica:
Dove è presente il punto interrogativo l’occorrenza non ha una datazione certa (o per lo meno non sono ancora riuscito a trovare un testo che la individui), perciò l’ho collocata nel periodo più probabile in base a quanto ho finora potuto evincere. Gli antroponimi sono scritti con la maiuscola iniziale, le voci lessicali con la minuscola.
Di fronte a questa distribuzione geografica e temporale si possono fare due ipotesi:
1) Un unico gentilizio, due forme
Questo è quel che pensano il prof. Morandi Tarabella, come ho esposto citandolo fin qui, il prof. Pittau, con alcuni distinguo che prenderò in considerazione più avanti, ed il prof. Gabriël Bakkum nel suo saggio sulla lingua falisca. Così pure in “THE SOUTH ETRUSCAN CIPPUS INSCRIPTIONS (SECI)“, Acta Instituti Romani Finlandiae Vol. 44, Roma – 2017, pag. 67, Jorma Kaimio ritiene possibile si tratti di un medesimo nome quando, riferendosi ad alcuni gentilizi rinvenuti solamente a Caere, a proposito dei Sucu scrive nella nota:
227 Possibly the same name is Zuχu, found at Volsinii, Clusium and Perusia.
Sembra fosse di quest’avviso anche il prof. Benelli in “Iscrizioni etrusche: leggerle e capirle”, Ancona, SACI edizioni – 2007, pag. 50, dove, descrivendo l’iscrizione sul piattello Genucilia dedicato a Larθi Sucus Rupsai, a proposito delle due forme zuχ-/suc- si esprimeva così:
“Non si può escludere che la forma Sucu sia la grafia ceretana del più noto gentilizio Zuχu, attestato già in età arcaica da una iscrizione funeraria di Orvieto (ET Vs 1.136 = CIE 5037), e poi da una di possesso da Corchiano (ET Fa 2.15 = CIE 8382); successivamente, in avanzata età recente, da più testimonianze dell’area chiusina, e da una di Perugia.”
Vediamo nel dettaglio i due CIE appena riportati nella citazione di Benelli:
Larece Zuχus Mutus CIE 5037
Si tratta dell’iscrizione più antica in cui sia citato il gentilizio (a parte Zuqu, inizio VI sec., il cui reperto però è andato perduto) e presenta, abbastanza insolitamente per i tempi, una formula trinominale il cui terzo membro potrebbe essere un cognomen o un matronimico. Si trova su di un blocco di tufo appartenente ad una tomba scoperta nel 1879 presso la necropoli della Cannicella di Orvieto, e fu asportato e donato al Museo orvietano dell’Opera del Duomo, dove potrebbe ancora trovarsi.
Il nome di questo personaggio è scritto con una sottile incisione sul fondo esterno di una coppa di bucchero pesante, rinvenuta nella tomba n° 11 del I sepolcreto di Vallone, una delle poche testimonianze etrusche rinvenute nell’Agro Falisco già dal VI-V sec. a.C., presso Corchiano, che consentono di mettere in relazione questo territorio con genti etruscofone provenienti da Veio, Volsinii (Orvieto) o Chiusi. Nel volume “Per Maristella Pandolfini, cen zic ziχuχe“, a cura di Enrico Benelli, ed. Fabrizio Serra, Pisa – 2014, si trova il “Contributo allo studio della presenza etrusca nell’Agro Falisco – un documento inedito sull’iscrizione Larisa Zuχus (CIE II.2.1, 8382)” della professoressa Laura Ambrosini, che tratta diffusamente la storia di questo reperto traendo conclusioni interessanti per questa ricerca e di cui farò un riassunto di seguito.
Il reperto venne alla luce nel 1885 e risultò irreperibile nel 1912, quando venne pubblicato nel CIE grazie solo ad una trascrizione (non in copia fedele, ma “normalizzata”) del testo fatta nel 1886 da Adolfo Cozza nella quale la lettera iniziale del gentilizio era la Z ( z ), che venne mantenuta anche in una successiva aggiunta (additamentum) fatta al CIE nello stesso anno dopo il ritrovamento della coppa nella Collezione Crescenzi, a Corchiano, n° 11 del catalogo, con il nuovo apografo (fig. 1) realizzato da Bartolomeo Nogara. Ambrosini, nel suo studio, riferisce di aver rintracciato presso l’Archivio Centrale di Stato di Roma (B.268, fasc. 4687) la tavola realizzata dal conte Alfonso Buglioni di Monale sulla quale, tra gli altri reperti della necropoli scoperta a Corchiano, si trovava anche la coppa con l’iscrizione. Quella tavola doveva servire per una successiva trattazione da parte del conte delle scoperte appena fatte e fu realizzata anch’essa nel 1886 con indubbia perizia e precisione: secondo la professoressa la fedeltà con cui riprodusse l’iscrizione potrebbe avere anche maggiore validità per il fatto che il conte non fosse un epigrafista, meno incline quindi a “normalizzazioni” del testo più o meno inconsce durante la realizzazione dell’apografo (fig. 2). Inoltre bisogna tenere conto che l’aggiunta al CIE, fatta nel 1912 dopo il rinvenimento del reperto nella Collezione Crescenzi (Feliciano Crescenzi era il proprietario del terreno in cui si trovò la tomba), avvenne 27 anni dopo la sua scoperta e la scritta avrebbe potuto essere stata danneggiata nel frattempo, determinando così una lettura erronea o difficoltosa delle singole lettere. La differenza è ben visibile nelle seguenti figure tratte dal testo di Ambrosini.
Come si può notare la Z ( z ) dell’apografo del 1912 non corrisponde alla lettera dell’apografo del 1886 (oltre ad altre differenze, leggere nell’aspetto ma sostanziali dal punto di vista paleografico, come la A arcaica ed allargata tipica dell’Etruria meridionale ed un trattino sotto alla seconda U, che la fa assomigliare ad una Y, ma potrebbe anche trattarsi di un graffio, la R con il peduncolo). Nel secondo infatti appare una X ( X ) che nell’alfabetario arcaico ceretano rappresentava la fricativa alveolare S o la fricativa postalveolare Ś. In questo caso, essendo presente anche l’altra S ( s ) in larisa ed in finale di gentilizio, la lettura corretta dovrebbe essere larisa śuχus. Riguardo al tema delle sibilanti, i cui segni grafici variano nel tempo ed a seconda delle aree, gli etruscologi hanno dedicato molti studi e per chi fosse interessato può trovare un compendio in “Sulla presunta sibilante palatale in etrusco”, Adolfo Zavaroni, “Incontri linguistici” 25 (2002), 87-102, ed in “(s)/(z) (à Volsinies)” Gilles Van Heems, Studi Etruschi 69 – 2003.
Per una serie di ragioni paleografiche questa forma grafica riconduce l’oggetto ad un periodo arcaico (700-400 a.c.) dell’Etruria meridionale, comprendente le aree ceretana, tarquiniese-veiente ed anche laziale-falisca, mentre la tipologia vascolare del reperto riporta la cronologia più indietro di quanto di solito si ripete (ad es. Morandi Tarabella scrive IV sec.) fino alla fine del VI sec. – inizi del V sec.
Se l’apografo del 1886 di Alfonso Buglioni venisse confermato da un’autopsia od una foto (sarà il prossimo obiettivo di questa ricerca), potrebbe aprire nuove riflessioni sui contatti tra Agro Falisco, Caere e Volsinii. A Caere infatti la forma sucu è ben attestata in una tomba di un certo livello (necr. Banditaccia), ma dal IV sec., mentre si trova zuχu a Volsinii (necr. Cannicella), nel VI sec., ed a Chiusi nel IV sec., dove si rileva la maggior concentrazione di occorrenze. La presenza di un śuχu a metà strada tra Volsinii e Caere in età precedente a quelle di Chiusi e di Caere potrebbe far pensare che questa sia una forma transizionale tra quella interna più a nord col grafema Z e quella costiera, più a sud e più vicina a popolazioni latine col grafema S e che sia stata l’influenza falisca a fornire il modello che determinò questo cambiamento verso nord (come testimonierebbe Zuconia) e costituire così una prova a sostegno dell’ipotesi del “gentilizio unico, due forme”. Gilles van Heems ritiene che queste variazioni fonetiche per cui la S viene pronunciata in certe posizioni come Z, e successivamente ad estendere questa pronuncia alla S in tutte le posizioni, si siano prodotte soprattutto negli strati più bassi della popolazione e ravvisa una prova di questo fenomeno proprio diverse iscrizioni di Volsinii posteriori al IV sec.: senza carattere di sistematicità, all’interno della stessa iscrizione, e in posizioni simili, si può trovare altrettanto bene sia S che Z. Viceversa nelle iscrizioni arcaiche di Volsinii in cui compare Z sembra che essa avesse il valore originario dell’affricata Z.
Secondo il professor Adolfo Zavaroni invece questa alternanza S/Z riguarda solo pochi casi piuttosto tardi, in epoca di ormai avanzata romanizzazione, ed anzi ritiene che Sucu e Zuχu avessero origine da due radici e due lemmi diversi, con significati diversi, come ipotizza anche il professor Enrico Benelli in una mail con la quale gentilmente rispose ad un mio quesito a riguardo (vd. sotto), cambiando evidentemente idea rispetto alla sua affermazione del 2007.
Oscillazione Z/S
Una delle molte questioni aperte è quella sull’uso dei grafemi che vennero impiegati dagli etruschi per indicare la sibilante: oltre ad essere ben 5 diversi, vennero usati in modo differente a seconda delle epoche e delle zone. Se l’ipotesi dell’unico gentilizio con due forme fosse quella corretta, si aggiungerebbe anche il fenomeno di oscillazione dell’iniziale Z/S che alcuni autori ravvisano in alcuni gentilizi leggibili in tombe più antiche (p.es. nel gentilizio Zalvie/Salvie). In età più recente lo scambio sarebbe testimoniato proprio in casi come Zuχu/Sucu, e probabilmente poteva dipendere anche dalle versioni locali (dialettali) e dallo sviluppo diacronico di una lingua e di un alfabeto che venivano usati con leggere varianti dagli abitanti di città-stato spesso divise ed in lotta tra loro, senza una forte centralizzazione politica. Come evidenzia il professor Massimo Pittau ne “La lingua etrusca“, ed. Insula – 1997:
§ 20. Quasi certamente la lettera Z indicava una consonante affricata sorda (ts o tz come negli italiani azione, marzo, pozzo); lo fanno intendere queste differenti scritture: Ramθa/Ramza «Ramta»; Uθste/Utzte «Odisseo»; ruz/rutzs «sarcofago»; ciz/citz «tre volte» (§ 73).
A seconda delle diverse località e dei differenti periodi storici non di rado la Z veniva usata al posto della S: Zalvi(e)/Śalvi/Salvie; Zatna/Śatna/Satna; Zemni/Semni; Zertur/Śertur/Sertur; Velzu/Velśu/Velsu (gentilizi); Selvanzl/Selvansl «di Silvano»; Utuze/Utuse «Odisseo»; zal/sal «due»; murs/murzua «urna-e».
Il professor Bakkum, nel suo lavoro sulla lingua falisca, dice:
+ “(4) adaptations of Etruscan gentilicia in -u. These names are a category that does present morphological difficulties, and therefore had to be adapted in some way in order to be declined. Apparently, the nominative in -u was comparable to the nominatives in -o of the ōn-stems in (§4.5.1.3), and the usual way of Latinizing these gentilicia was therefore by means of -u → -onius. Faliscan examples of this are Aconius, Atronius, Fullonius, Sacconius, Sapnonius, Seruatronius, and Succonius, and possibly Decon…. Yet Faliscan has two names where the Latinization was apparently by means of -u → -onus, Viconus and perhaps also Praeconus. This adaptation is in a sense comparable to the adaptation -na → -nus described above under (2). Related as well appears to be Folcosius, with -u -osius→. A different, and simpler type of adapting these names, occurring also in Latin, is -u → -ius, as in Cincius. Unclear is Laepuius: it looks as if this was adapted by means of -u → -uius.” (pag.279)
+ “…Zuconia is an adaptation of the Etruscan gentilicium Zuχu according to the usual pattern -u → -onius (§7.8.2.4). The Etruscan gentilicium also occurs at Corchiano, in Larisa Zuxus Etr XXXII (late sixth century): the Faliscan form is found at Civita Castellana in Uel Zu[con]leo MF 56.” (pag.329)
++ 56-57. The following inscriptions are both from Cozza & Pasqui’s tomb X.
+ “56. Painted in red on plaster on a tile fragment.
luelzu[2][con]
leo:fe[2][cupa]
Sinistroverse, Faliscan alphabet. The o is ◊. It is unclear whether the … preceding uelzu in Cozza & Pasqui’s transcription indicate traces, vacant space, or a missing tile preceding the text. Herbig read uelzu as a praenomen Volso, which was adopted by all other editors. I would rather restore the text as uel zu[con]leo : fe[ cupa], or, assuming that more than one tile is missing at the end, as uel [zuconeo —]leo : fe[ cupa ?—]). The praenomen uel occurs e.g. in MF 82 (cf. also §7.7.1.80) and the gentilicium zu[con]leo in zuconia MF 271: cf. also larisa zuχus Etr XXXII and §7.8.1.148. The use of the interpunct in Faliscan inscriptions is not so consistent that its absence after uel and zu[—] can constitute an argument against this. The hypercorrect spelling fe for he(c) occurs also in MLF 305: see §3.5.2.
Bibliography: Cozza & Pasqui 1887b:272 (autopsy); Conway 1897:375 (x1.25); flerbig 1910:187 (25); Herbig CM 8176; Vetter 1953:297 (275a); G. Giacomelli 1963:76 (72,II). Transcription: Cozza & Pasqui 1 887b:272 (reproduced in CIE 8176). (pag. 433)
+ “57. Painted in red on plaster on a tile fragment.
calin[—]
rezo[—]
Sinistroverse, Faliscan alphabet. The r appears to be ᴙ rather than r : see §11.2.4.2. Herbig restored the first line as calin[ia, with rezo as a genitive. I wonder whether the ca is not rather the frequent abbreviation ca = Gauius. As z is more common at the beginning of words (§11.2.4.3, §3.5.3), rezo[—] is probably to be divided as [—]lre zo[—]. Zo[—] could perhaps be zo[coneo] or zo[conea], a further adaptation to Faliscan of the gentilicium zuconia MF 271 (and perhaps zu[con]leo in MF 56), which is itself an adaptation of the Etruscan gentilicium Zuχu in larisa zuχus Etr XXXII see §7.8.1.148.
Bibliography: Cozza & Pasqui 1887b:272 (autopsy); Conway 1897:375 (x1.26); Herbig 1910:187 (25); Herbig CIE 8177; Vetter 1953:297 (275b); G. Giacomelli 1963:76 (72,II). Transcription: Cozza & Pasqui 1887b:272 (reproduced in CIE 8177). (pag. 433)
+ “148. Succonius. f. Zuconia MF 271, probably also m. Zu[con]leo MF 56, perhaps also [—ue?]l Sul[con—] MF 191. Cf. Larisa Zuxus Etr XXXII. Latin Succonius: the name is an adaptation of Etruscan Sucu (from Caere: sucus Cr 1.152, 1.155, 1.172, 2.31, sucui Cr 1.100) or Zuχu (mainly from Clusium: Zuχu Cl 1.1619, 1.1769, 1.1770, 1.2173, Zuχuš Cl 1.1771; Zuχus Vs 1.136, Zuχuš Pe 1.965). A Socconia Voluptas occurs in CIL XL3223 from Nepi.” (pag. 273).
+ “271. Scratched along the length of the front of a tile (64.5×47.5; letters 7-11 cm high).
poplia
zuconia
Sinistroverse, Faliscan alphabet. Zuconia is an adaptation of Etruscan zuχu, attested at Corchiano in zuχus Etr XXXI and perhaps in zu[con]leo MF 56 from Civita Castellana.
From autopsy in the Museo di Villa Giulia, Rome (inv. 9552). Bibliography: Herbig 1910:185-6 (23) (autopsy); Jacobsohn 1910:6 (43); Herbig CIE 8385; Vetter 1953:317 (330): G. Giacomelli 1963:100 (130) (autopsy); (Dohrn in Helbig/Speier 1969:6745 (2752)); Fl II.2 p.303 (autopsy); Cristofani 1988:18; Peruzzi 1990:278-9. Photograph: G. Giacomelli 1963 tav. VII. Drawing: Herbig CIE 8385. (pag. 526).
+ “XXXII. Scratched on the outside of a fragmentary bucchero vessel (“a forma di scodello” Cozza 1886:155; “[tazza] a calice” Fl II.2 p.252), from tomb 11 of the first necropolis of Il Vallone, Corchiano. Late sixth century (Colonna).
larisazuχus
Sinistroverse, Etruscan alphabet. The gentilicium zuχus occurs in its Faliscan adaptation in zuconia MF 271, also from Corchiano, and perhaps in zu[con]leo MF 56 (from Civita Castellana).
Bibliography: Cozza 1886:155 (autopsy); Herbig 1910:185 (22) (autopsy): Herbig CIE 8382; G. Giacomelli 1963:63 (45); Peruzzi 1964e:227; F! 11.2 p.252 (autopsy); Cristofani 1988:23 (ID; Colonna 1990:120; Petruzzi 1990:278: Rix ET Fa 2.15. Transcription: Cozza 1886:155 (reproduced in CIE 8382). (pag. 602).
cit. “The Latin Dialect of the Ager Faliscus: 150 Years of Scholarship, Volume 1“, Gabriël C. L. M. Bakkum, ed. Amsterdam University 2009, consultabile anche qui.
2) Due gentilizi diversi
In una mail del 2019 il prof. Enrico Benelli (che ringrazio per aver risposto alle mie domande) dimostra di aver cambiato idea, rispetto al 2007, o forse semplicemente il progredire dei suoi studi gli ha consentito di precisare meglio un’ipotesi che ancora non si sentiva di pubblicare (la distinzione dei colori del testo per sottolineare la differenza tra probabile e certo è mia):
Benelli : ” * i due gentilizi etruschi, per quanto foneticamente simili, hanno probabilmente origini diverse.
# Sucu si analizza in Suc-u, cioè è un gentilizio in -u (con il formante probabilmente più antico esistente nella lingua etrusca, più antico anche di -na, e condiviso con il retico, dal quale l’etrusco si distacca in epoca piuttosto risalente); la radice Suc- è molto produttiva nell’antroponimia etrusca (per esempio, doveva esistere un nome individuale Sucis su cui è formato il gentilizio Sucisna, ecc.) e la sua concentrazione nell’estremo sud della regione ha fatto pensare che la base possa essere di origine latina (quale, però, non è chiaro).
# Zukhu (con la velare aspirata, resa dal segno del khi) è invece * probabilmente un asuffissato (cioè Zukhu-0, senza suffisso derivativo), come mostra la forma latinizzata Succonius (e il raro chiusino Zukhni è probabilmente retroformazione analogica, come accade anche in altri casi simili nella sola Chiusi). E’ altamente * probabile (come per tutti gli antroponimi asuffissati) che Zukhu fosse una parola con un qualche significato, che però ignoriamo, perché come tale non è mai attestata, salvo un isolato zukhne nella tegola di Capua, che dovrebbe essere un verbo, ma cosa significhi in concreto non è chiaro, a parte farci sospettare che zukhu sia un participio.
# Si tratta quindi di due cose diverse, derivate da radici diverse, per le quali è impossibile proporre una traduzione, mancando le circostanze contestuali, che sono l’unica guida possibile per capire i campi semantici delle parole etrusche.”
La prudente e rigorosa lettura del professor Benelli, che mi sento di condividere, non lascia spazio alcuno alla possibilità di conoscere il significato di Zuχu/Sucu direttamente dalla raccolta di lessemi etruschi fino ad oggi rinvenuti, a patto di seguire il metodo di traduzione di questa lingua oggi più accettato dalla comunità scientifica:
“metodo ermeneutico o combinatorio il quale, prescindendo dalla possibile esistenza di affinità con altre lingue (metodo comparativo) ed anzi opponendosi a qualunque ricerca in tale direzione, mira a tradurre l’etrusco concentrandosi esclusivamente sullo studio delle relazioni interne fra i singoli elementi dei testi, e di quelle fra i testi e i loro contesti materiali e culturali (tipologie di oggetti, collocazione, periodo storico)” (cit.Alinei).
Una delle caratteristiche di questo approccio è quella di accettare i limiti che spesso si pongono come invalicabili nel caso di una traduzione letterale e metodologicamente comparativa dei testi, rinunciando così a proporne alcuna per concentrarsi piuttosto su di una maggiore conoscenza dell’ambito semantico e del contesto culturale nel quale trovarono la loro collocazione, considerando quest’ultimi più importanti del preciso significato di ciascuno di quei testi ai fini della loro comprensione.
Pertanto l’ipotesi che le radici zuχ- e suc- siano due varianti grafiche e locali del medesimo lemma, sostenuta dal professor Tarabella e da altri, non è condivisa da tutti anche per motivi diversi da quelli proposti dal professor Benelli. A differenza di quest’ultimo, ad esempio, il professor Adolfo Zavaroni ritiene che il 90% del lessico etrusco abbia un’origine indoeuropea e che quindi sia relativamente facile da tradurre, ma sostiene anch’egli che i due gentilizi abbiano origini diverse spiegabili attraverso le regole dell’evoluzione linguistica degli idiomi derivati dall’indoeuropeo.
CONGETTURE
* La discreta diffusione del gentilizio, nel caso non fosse dovuta a soggetti tutti più o meno lontanamente imparentati, testimonierebbe un uso abbastanza comune del soprannome, il cognomen, da cui il gentilizio, il nomen, ad un certo punto discese e si fissò su nuclei famigliari anche geograficamente e temporalmente lontani tra loro: è quindi plausibile pensare che derivasse da una parola di uso comune, ma come tale compare nell’ambito di testi più lunghi di una semplice epigrafe sepolcrale solo in due casi per la radice zuχ-: zuχne, zuχuna, due per la radice zuc-: zuci, zucre, ed in tre casi tutti presenti nel Liber Linteum (LL) della mummia di Zagabria per la radice suc-: śuci, śuciva, śucri.
A causa di questa scarsità di evidenze allo stato attuale è impossibile tradurre la radice, ed i lemmi che ne sono derivati, direttamente dall’etrusco perché qualsiasi significato proposto non avrebbe la possibilità di conferme contestuali disparate, come sostiene il professor Benelli nella sua mail. Ancorché la sua analisi ermeneutica sia giustamente prudente e non proponga traduzioni per evitare di affidarsi al metodo comparativo e di ricorrere ad eventuali derivazioni da radici protoindeuropee e non, egli ritiene ugualmente di potersi sbilanciare nell’ipotesi di distinguere sucu da zuχu per significato e derivazione.
Spesso in campo linguistico in generale, ed etruscologico in particolare, ci si deve fermare ad esporre ipotesi senza certezze assolute: per questo motivo penso di poter prendere qualche spazio (poco, in verità, e sicuramente opinabile) per proporre altri punti di vista, almeno fino a quando prove più evidenti non consentiranno affermazioni definitive. Non bisogna dimenticare che in molte lingue parole scritte con identici grafemi vengono poi pronunciate in modi differenti con differenti significati, oppure assumono significati diversi a seconda del contesto e del periodo storico in cui vengono utilizzate. Inoltre le regole che valgono nella mutazione diacronica e diastratica dei vari vocaboli di un lessico, non è detto che attivino una mutazione anche negli antroponimi che da quei vocaboli sono derivati e che spesso, infatti, si comportano come “fossili” cristallizzati per conservare più un’appartenenza che un significato: ognuno di noi porta in genere un nome e/o un cognome di cui sovente non conosce il significato originario e, se gli piace e si appassiona, deve condurre ricerche come questa per scoprirlo; in alcuni casi si tratta poi di antroponimi (più spesso cognomi) che suonano offensivi o ridicoli, eppure molti di noi ne vanno ugualmente fieri per senso di appartenenza.
Dati conosciuti
Credo sia quindi possibile cercare di fare qualche ipotesi sulla base di alcuni dati conosciuti:
1) La Z iniziale è quasi sempre associata alla Χ (tranne Zuqu), mentre la S lo è alla C (tranne Sukisna);
2) La coesistenza quasi contemporanea di iniziale Z con iniziale S in città non lontane permette di ipotizzare che si tratti di due gentilizi diversi, forse con origine diversa
3) La concentrazione delle occorrenze Z nella zona più interna e lontana dall’ager latinus fa pensare che verso la costa e più a sud ci fosse un’influenza latina.
E grazie alle indicazioni del prof. Massimo Pittau.
“In etrusco il gentilizio, che – ripetiamolo – indicava la gens o la famiglia allargata, veniva formato secondo due modalità principali:
1) Trasformazione di un prenomen in gentilizio per mezzo di due suffissi aggettivali: –ie, coi prenomi Cae, Vel, Vipe, Tite, gentilizi derivati Caie, Velie, Vipie, Titie (cfr. l’analogo suffisso lat. –ius; indeur.); e -na, coi prenomi Velϑur, Vipe, Marce, Spurie, gentilizi derivati Velϑurna, Vipina, Marcena, Spurina.
2) Trasformazione di un cognomen in gentilizio: etr. Acrate, Campane, Latini, Senate = lat. Acerratius, Campanius, Latinius, Senatius (in origine erano tutti cognomina che significano rispettivamente «nativo di Acerra, della Campania, del Lazio, di Siena oppure di Senigallia». Nel caso di individui, di entrambi i sessi, che risultavano discendenti da due differenti e ragguardevoli gentes, nella propria denominazione essi potevano fare uso contemporaneo dei due gentilizi”.
Dato che i prenomi etruschi conosciuti non sono molti e tra di essi non ne figura alcuno con radice zuχ-/suc- (tranne forse un Sucis segnalatomi dal prof. Enrico Benelli solo come ipotesi in seguito all’esistenza del gentilizio Sucisna e che il Pittau considera derivare dal termine: suci = “profumo, essenza”) è * lecito pensare che Zuχu sia derivato da un cognomen, un soprannome, un nomignolo che di solito indicava la provenienza geografica, il mestiere o qualche caratteristica fisica o morale, oppure ancora un ramo collaterale della gens od infine l’essere stato un individuo affrancato dal suo vecchio padrone.
Per quanto riguarda la desinenza in -u, essa può indicare un suffisso sostantivante…
“…che corrisponde a quello latino –o,-onis e molto probabilmente veniva pronunciato nasalizzato, cioè *-un: acilu, operaio(?); kurpu, buffone; maru, marone; scurfiu, scorpione; suplu, flautista; fulu, fullone” (cit. Pittau), oppure un “participio passivo che nel corpus della lingua etrusca risulta molto documentato, il quale però coi verbi intransitivi ha valore medio. La sua desinenza è -u/–v(e) ed è invariabile, cioè valida per il maschile e il femminile, per il singolare e il plurale” ed “alcuni di questi participi risultano usati come ‘aggettivi’ e così si spiega come anch’essi siano indeclinabili (gli aggettivi non venivano declinati come invece succedeva in latino ed in greco, ndr.)” (cit. Pittau).
Pertanto è * probabile che la radice zuχ-/suc- appartenesse o ad un verbo coniugato al participio passivo o ad un aggettivo sostantivati (nomen agentis) per trasformarli in un cognomen da cui, in seguito, sarebbe derivato il gentilizio (così come ziχu significava “ha scritto” da ziχ– = “scrivere” + –u, da cui il sostantivato ‘scrittore/scriba’ < scribonius). Una lunga trattazione sulla funzione della desinenza -u è presente ne “Il verbo etrusco“, di Koen Wylin, ed. L’Erma di Bretschneider, a cui rimando per approfondire la questione (che non è affatto scontata).
Tentativi di traduzione
1) ZUXNE
A proposito del sopra citato zuχne, oltre all’ipotesi del prof. Benelli, voglio segnalare anche l’ * interpretazione (probabile/possibile?) che ne diede il prof. Massimo Pittau nella sua opera di più ampia traduzione del testo integrale della Tavola Capuana, dove la desinenza in -ne testimonierebbe la trasformazione del sostantivo zuχ- in aggettivo e la radice sarebbe, immagino di poter dedurre, considerata dal professore come derivante dal proto-indoeuropeo *sekw– = “seguire, lat. sequor“, da cui allora quella latina soci-di soci-us,-i/soci-enn-us,-i con significato di “socio, compagno”; (oppure, meno probabilmente, al proto-indoeuropeo *i̯eu̯-g-/*yewg- = “legare al giogo, unire, accoppiare” da cui quella greca ζυγ- e quella latina iug-). Cito testualmente di seguito il
* Pittau :
“…
14 E·P·NICEI·NUNΘ·CUCIIEI·TURZAI·RIΘ(—-)AE·I·TIIAHAL·X·A·PER·TULEA·PHES· ILU·CUVACI·LZUXN
EPNICEI NUNΘCU CIIEI TURZAI RIΘ[NAI]TA EITIIA HALX APERTULE AΦES ILUCU VACIL ZUXN
per l’epinicio (canto di gloria) celebrato con tre pizzichi di incenso a norma del rituale col vaso bronzeo all’apertura nenia funebre all’ Avo (Capostipite) in rito comunitario
15 EE·L·FARIΘNAI·TUL TRAI·S·VANEC·CALUS·ZU·LEVAA·TU(–)NEIN·PAVINAI·Θ·ACAS·A·PH
E ELFA RIΘNAITULTRAIS VANEC CALUS ZUSLEVA ATU[M]NE INPA VINAIΘ ACAS AΦ
pane d’orzo secondo i Libri Rituali e per il sotterraneo Calus preghiere in autunno che il vignaiolo (sta) lavorando, all’Avo (Capostipite)
…
ZUXNE (T Cap 14) significato probabile «sociale, comunitario», da confrontare col lat. sociennus «socio, compagno» (già prospettato come di origine etrusca; Ernout 25, ESL 463). Vedi antroponimi etr. SUCN(-EI), ZUCENA (suff. –nn-) (DETR 183, 385; DICLE)”.
Tuttavia il rito, invece che * comunitario, avrebbe potuto essere * libatorio, cioè eseguito offrendo libagioni, ovvero liquidi e succhi vari (latte, sangue, vino, olio, essenze….), in accordo con l’ipotesi di una corrispondenza con il latino suc(c)us,-i che viene prospettata dal Pittau stesso (vd. anche SUCUS) e senza che questa diversa traduzione cambi di molto il senso complessivo del testo.
2) ZUXUNA
1) Nel primo caso, zuχuna (TLE 878; ET, Cr 4.10; ThLE¹²; CIE 6310; sec. VI-V) è una parola ben leggibile che viene incisa su di una placca metallica, la tabella defixionis di Santa Marinella che viene così tradotta dal Pittau:
* Pittau :
“MMMCCC LANXUMITE [—-] PULUNZA IPAL ŚACNITALTE [T]INIA TEI AΘEMEIŚCAŚ ZUXUNA ZA[NŚL] ŚACNITALTE <ŚACNITALTE> ŚIXUT-[-?-] [-?-]A ICECIN ΘEZI IPE[RI] UNU RAPA XUM[ENE —]UMNLE MENATINA TEI UMN[—] [-?-]UTIPAS RINU[—] CVER MULVENI[-?-] UN[E] HELUCU ACASA TEI LURUS [-?- -?-]-AV NUNA[R] NUNΘENA TE[I -?- ——] SICE LANXUMITE ICANA [——]ΘE HUN/P[—–]-L NUNΘENA [F]ASEI TESA NACxxCE MULVE[NI -?- -?-] SURT[I]NA VACIL C-[-?-]-A MLAKA[S –]AMA [LANXUM]ITE ICEC[IN] CIVEIS M[-?-] —- IM[—]NUZA H[-?- -?-]N/RI UNUŚE HA[N]U EI ZURVA TA[N] -T RIN[–]V AΘEMEICAN SXUINIA IPA[L U]NXVA MLACIΘA HECIA IPERI APA-[-?-]TRAS N-[-]NIE NACAS SURVE CLESVARE [-?- -?-]N ΘESU NAMULΘ AME
– TRADUZIONE (con i guasti del testo):
MMMCCC (abbreviata formula magica) – Il Lancinante (la scuoi come una ?) pollastra in esorcismo di costei a quel Tinia, quello iniquo (Calus), in compagnia della genitrice in esorcismo seguente la stessa ad immolazione per queste ragioni (sarà) effettuato il (suo) rapimento minaccioso per lei con fune [ ] (o Calus) offri(la) come vittima!, rendila mentecatta!, avendo adoperato su di lei lo scudiscio, le (sue) regalie respingi! per lei (sia) col coltello il Lancinante capace; respingi il (suo) pane!, comanda! [ ] offri [ ] un rito inascoltato — offrendo [ ] il Lancinante la stessa del compatriota (dell’inferno) [ ] come pena il tempio non accolga costei! —- (non accolga) l’iniqua giuncaia di costei, le (sue) offerte, la donatrice come feccia per queste ragioni [ ] infila(la) nel chiuso di una pelle e immolata nel Fiume (Stige) sia!ZUXUNA: forse «società, sodalizio, compagnia, comunità» (?). ZUXUNA ZA[NŚL] «in compagnia della genitrice»”.
Questa traduzione tuttavia, a mio modesto parere, non esclude che ZUXUNA, essendo associato alla parola ZA[NŚL] che il Pittau stesso traduce con “genitrice”, possa essere il gentilizio/patronimico della genitrice di cui si parla dato che non solo il senso generale non sarebbe stravolto, ma addirittura la maledizione avrebbe il nome del soggetto a cui/da cui viene rivolta! (cosa che si verifica sempre nelle defissioni, sarebbe strano mancasse solo in questa).
Ma, come si può vedere nella figura 3, la lamina di Santa Marinella è talmente frammentaria da non consentire certezze sulla sua ipotesi di traduzione, se non genericamente per considerarla come oggetto devozionale, stante anche il suo ritrovamento in un contesto templare. Ed infatti posso riportare anche un’altro tentativo di traduzione esperito dal ricercatore Massimo Penna nel suo PDF release 1.1, intitolato “Santuario etrusco di Punta della Vipera. Riflessioni ed ipotesi di traduzione del testo etrusco della lamina plumbea colà rinvenuta“, giugno 2020, pubblicato nella sua pagina ELEMENTI DI LINGUA E SCRITTURA ETRUSCA:
LATO A
1a •MMMCCC LANCHUMITE •
3300 (voti?) L’armata di lancia (Menerva)
2a [–]INIA • TEI • ATHEMEIŚCAŚ • ZUCHUNA • ZA[–] (–)inia a questa nobilmente vittime animali in n° di 10
3a [–]A • ICECIN • THEZI • IPE[–] UNU • RAPA • CHUM[–] come sacrificio ciascuno deponga con cura
4a [–]UT IPAS • RINU[–] …… CVER • MULVENI[–] disponga ognuno (e) presenti il dono in offerta
5a [–]AV • NUNA[–]…… NUNTHENA • TE[–] (poi) offra il sacrificio (e) dedichi
6a [–]THE • HU(P)N[INA]L • NUNTHENA [–] ai repositori, libagioni/sacrifici
7a [–]CHUR • T[uti)NA • VACIL • C[–] (questo) con pienezza la comunità doni
8a [–]ITE • ICEC[–]A ……• CIVEIS • M[–] e come ….
9a [–]NI • UNUŚE HA[TRENC]U • EIZURVA • TA[–] quindi propizia agli antesignani (grandi)
10a [–]NCHVA • MLACITHA • HECIA • IPERI • APA[–] (il complesso) delle offerte dona a favore degli antenati
11a [–]ATHESU NAMULTH AME •
fai offerte come è stabilito.LATO B
1b [–] PULUNZA • IPAL • ŚACN[–] … splendide dove sacramente
2b [–]ITALTE • ŚACNITALTE • ŚICHUT[–] questi (offri e) nel Santuario (officia)
3b [–]UMNLEŚ[–] • MENATINA • TEI • UMNI[–] con cura disponi e offri a questo (impianto)
4b [–]U[–]U[–]HELUCU • ACASA • TEI • LURUR[–] (ognuno) doni le proprie offerte a questo (Santuario) con merito
5b [–]TE[–]CICE • LANCHUMITE • ICANA • [–] dedicando alla (dea armata) di lancia (Menerva) questo
6b [–]ASEI • TESA • NACN[–]CE • MULVE[–] 8 (e) pani è comandato con magnificenza offrire
7b ([–]PA • MLAKA[–]AMA • [–] questo che bello sia.
8b [THE]ZI [ • AMA • IM[–]NUTA • H[–] Il sacrificio sia fatto qui
9b [–]T • RINU[–]V • ATHEMEICAN • SCHUINIA • IPA[–] dedica offri generosamente deponi dove
10b [–]ZRAS • N[–]NIE • NACARSURVECLES VARE[–] (giacciono coloro) ché sono stati allontanati.
E nello stesso PDF di seguito la traduzione di una seconda versione del testo, la stessa utilizzata dal Pittau per la sua traduzione:
LATO A:
…*OOO000 °Lanxumite . ([—] *pulun za . *ipal . °sacx[ /…(X)inia .
MMMCCC 3300(voti?) L’armata di lancia (Menerva) splendidi chiunque sacra/mente
*tei . °athem *eis(nevc) *ca . *zuxuna . °zathumz?[-]( x) °xtalte . °šacnitalte . ^šiχuxx[] a questa nobilmente ciò (dedichi) sacrifici animali 20 volte questi (consacrando) nel Santuario (offici?)
°ic °ce °in *thezi °ipexx ….unu ^rasa ^xumxxx ^umnle[..]x[..]*menatina . °texxxunx[
come questa stessa offerta ciascuno deponga con cura (e) disponga
] v °ipas . ^(xin[………] *cver . *mulvene [—] °xus . -u–°helucu . *acasa . *tei . ^urux[
ciascuno ogni dono come offerta il proprio, doni la propria offerta a questo (Santuario) con merito
…. ]θe . °hup[nina]l . °nunθena . —°f]ašei . *tesa . °nacx(x)ce. *mulv[
ai repositori, libagioni/sacrifici e pani è comandato con magnificenza offrire
… ^[xur . °t[uti.]na . *vacil . ^cx[—]pa . *mlaka [….]*ama.
E con pienezza la comunità doni… questo che bello sia.LATO B:
^]ite .°icec[……] ^civeis . ^m[—]xiama . ^imx[…]nuta : ^h[(eva?)
e come qui
]x(x) . ^unuše . °ha[tren]xu . °ei(t)-°zur-va . ^tx[—]x . °rin[…]v . °aθemeican . °sχuinia . *ipx[
quindi propizia agli antenati grandi dedica generosamente deponi dove
^]xnχva . *mlaciθa . *hecia . °iperi . *apax[—]txas . ^x[..]xnxe . °nac °ars urve ^clesvare[
insieme i doni deponi a ciascuno degli antenati/antesignani maggiori poiché allontanati ora riposano
]xθ *escuna *mulθ *ame
dona/fai offerte come è stabilito.
Del testo di questa lamina vorrei fissare l’attenzione su tre parole: AΘEMEIŚCAŚ/ATHEMEICAN, [–]INIA(riga 2)/SCHUINIA, ZUXUNA. Serviranno per cercare di comprendere il significato della seconda iscrizione in cui compare zuχuna, di cui tratto di seguito.
2) Nel secondo caso zuχuna (ET Cr 1.197) compare nell’iscrizione 1 della Tomba delle Iscrizioni Graffite. Di questo importante reperto si parla in “Archeologia in Etruria meridionale: atti delle giornate di studio in ricordo di Mario Moretti“, AA. VV., a cura di Maristella Pandolfini Angeletti, ed. Erma di Bretschneider – 2006, nell’intervento di Giovanni Colonna “Cerveteri. La Tomba delle Iscrizioni Graffite“, pag. 419, ed è la seguente, trascritta da “Constructing the Etruscan Clan. Funerary Inscriptions and Familial Structures at Archaic and Classical Tarquinia and Caere“, 22/05/2017:
(Cr 1.197) 1ramaθa spesias sχa[ni]ce θui stalθi 2iχ () laris armas[ii]nas putuša ziχ 3ipa ve[l]iinaisi uθrice laricesi 4zuχuna
Questa iscrizione lascia intendere un uso acherontico della tomba.
Il professor Maurizio Harari, nel suo articolo “ORCO III“, parla del termine zuχuna come di una possibile forma di rituale in cui è previsto versamento di sangue, scrive infatti:
“…e il sacrificio di sangue presupposto all’evocazione dei morti79 trova oggi un precedente (reale e non iconografico) nell’evento commemorato dalle Incisioni Graffite dell’omonima Tomba di Cerveteri80.”
79 Per cui andrebbe forse presa in considerazione quella specie di altare, dipinto di rosso come lo zoccolo delle pareti, che è enfaticamente collocato in Orco II giusto al di sotto del columen maggiore: vd. l’acquerello del Morani (Fig. 4).
80 Se tale è il significato, nell’epigrafe, del preterito schanice, che esprime l’azione rituale (uno zuchuna?) compiuta, entro la tomba, da Ramatha Spesias per il defunto coniuge Larice Veliinas: COLONNA 2007, p. 13. La disciplina di tali cerimonie doveva essere regolata da quei libri Acherontici, cui portava la sua attenzione CRISTOFANI 1987, p. 201″.
L’ epigrafe a cui si riferisce per la Tomba dell’Orco III è l’altra in cui compare il termine è stata rinvenuta nella Tomba delle iscrizioni Graffite, a Cerveteri:
3) ZUCI
Nel caso di zuci, presente nel testo del cippo di Perugia, il Pittau lo traduce così:
* Pittau:
“1 VELΘINA · Ś
Veltinio
2 ATENA · ZUC
mantiene – per delibera
3 I · ENESCI · IP
di noi tre – gli arredi
…
ZUCI: (Cippus a 7, b 26, 35) significato compatibile «a/per delibera, sentenza», in dativo”.
Ma qui viene data una diversa interpretazione, anche per ENESCI.
4) ZUCRE
Per il Pittau:
“zucre: forse «suocero» (?), da confrontare col lat. socer, socrus «suocero» (DELL): Av Sure zucre «Aulo Surio suocero» (su coperchio d’ossuario; Ar 1.24- rec)”.
ŚUCI, ŚUCRI, ŚUCIVA
Nel Liber Linteum (LL) della mummia di Zagabria la parola śucri viene analizzata da “Il verbo etrusco“, di Koen Wylin, ed. L’Erma di Bretschneider 2000, nel seguente modo:
LL 8 3-4: celi huθiś zaθrumiś flerχva neθunsl śucri θezeric: celi huθiś zaθrumiś è la datazione esatta (mese e giorno), mentre flerχva sembra il collettivo di fler. L’esatto significato della radice suc- ci sfugge ancora (anche se qui l’inziale è una ś 〈sc〉 e non una s; nota mia). Secondo l’Olzscha va cercato nella sfera dell’annunciare, parallelo all’umbro naratu. Nelle Tavole Iguvine la vittima deve essere presentata al dio, prima di essergli offerta. Si traduce: il 24/26 di settembre l’insieme delle offerte per Nettuno deve essere annunciato ed offerto.
Pittau invece, che tentò la traduzione dell’intero testo scritto sulle bende, preferì tradurre śucri con “profumato” e nello stesso modo tradusse altre forme simili del medesimo lemma, proponendo la stessa corrispondenza con il lat. sucus che propose anche nei suoi dizionari per tutti i derivati dalla radice zuχ-/suc-:
ŚUCI, ŚUCIC, ŚUCIX (ŚUCI-C/X) (VII 9, 16, 20, 22) significato compatibile «(e) profumo, incenso», probabilmente da confrontare col lat. sucus, succus «succo, sugo, sapore, profumo», il quale, essendo finora di origine ignota (DELL), potrebbe derivare proprio da questo appellativo etrusco (DICLE); sempre ŚUCI(C) FIRIN «(e) brucia profumo!». Vedi ŚUCIVA, ŚUCRI.
ŚUCIVA (VII 7) significato compatibile «profumi, grani di profumo», plur. di ŚUCI (LEGL 69). SAL ŚUCIVA FIRIN «brucia due grani di profumo!».
ŚUCRI (VIII 10) probabilmente «da profumare», in gerundivo (LEGL 127). Vedi ŚUCI
Anche se queste parole sono accompagnate da:
FIRA (I 18) significato probabile «pira» in cui si bruciavano i profumi e le vittime, da confrontare col greco pyrhá (interpretazione confermata dal vocabolo VERSUM «e fuoco» della riga seguente). Vedi FIRIΘVENE, FIRIN.
FIRIN (VII 7, 9, 20, 22) probabilmente «brucia!» (imperativo sing.). ŚUCIC FIRIN «e brucia profumo!». Vedi FIRA.
FIRIΘVENE (VII 16) significato compatibile «che brucia, infiammabile», aggettivo (LEGL 89).
a me pare comunque che possa essere proposta anche in questo caso per i sostantivi śuci/śuciva la traduzione “libagione/libagioni“, e per la forma verbale gerundiva śucri quella di “da libare/da versare” senza stravolgere troppo il senso complessivo dell’ipotesi traduttiva di entrambi: il 24/26 di settembre l’insieme delle offerte per Nettuno deve essere libato (versato) ed offerto.
Glossari
Dopo aver dato conto di queste sue traduzioni, devo però segnalare che lo stesso Pittau nei suoi Dizionario della lingua etrusca, ed. Dessì, 2005, e Dizionario comparativo latino-etrusco, ed. EDES, 2009, suggerisce di correlare i tre lessemi (incluse svariate forme simili) ed i relativi antroponimi con il latino suc(c)us,-i, o con termini derivati ed in relazione con esso, e quindi in modo difforme dalle traduzioni da lui stesso proposte nei tre testi lunghi sopra citati:
ETR. C
Cucu «Cocio», gentilizio masch. (CI 1.249; Pe 1.1206). da confrontare con quelli lat. Cocius. Cocio,-orris (RNG 58. 315), nonché col lat. cocio, coctio,-onis «mediatore, sensale» (cucio apud antiquos; Paolo-Festo pag. 2) (già prospettato come di origine etrusca; EPHIL 42; DELL; SE XLI 195).
ETR. S
śuci forse «aroma, profumo», da confrontare col lat. sucus «succo, umore» (?): sempre suci(c) firin «(e che) bruci aroma!» (?)(LL VII.9, 20, 22). Vedi suciva, suχu, zuχne.
śucic (suci-c) forse «e aroma, e profumo» (?)(LL VII.9, 16, 22).
śuciva forse «grani di aroma» (?). plur. di suci (LEGL 69); sal suciva firin «(che) bruci due grani di aroma!» (?)(LL VII.7).
śuciχ (suci-χ) «e aroma, e profumo» (LL VII. 16).
Sucisnaia «di Successinia», gentilizio femm. in genitivo arcaico (LEGL 76). da confrontare con quello lat. Successinius (RNG); mi Θanakvilus Sucisnaia «io (sono) di Tanaquilla Successinia» (su vaso; Cr 2.42 – 7f6i). Vedi Sukisnas. Cfr. Amunaia.
Sucle probabilm. «Socelio», gentilizio masch., da confrontare con quelli lat. Socelius, Sucilius (RNG) (Cl 1.641).
Sucna(l) «di Socen(n)ia». genitivo di Sucnei (Co 1.35).
Sucnei «Socen(n)ia», gentilizio femm., da confrontare con quello lat. Socen(n)ius (RNG), nonché col lat. sociennus «socio, compagno» (già prospettato come di origine etrusca; M. Durante) (Ar 1.61); La Tites Crespe / Lartθi Cainei Sucnei «La(rt) Titio Crispio / Lartia Caenia Socen(n)ia» (2 gentilizi masch. e 2 femm.) (su ossuario; Ar 1.61 – rec). Vedi Zucenas.
śucri forse «da dedicare» oppure «da purificare» (?), in gerundivo (LEGL 127) (LL VIII.10).
Sucu «Succonio», gentilizio masch., da confrontare con quello lat. Succonius (RNG) (su parete di sepolcro; Cr 1.155 – 4:s).
Sucui «Succonia», femm. del gentilizio Sucu (su cippo; Cr 1.100 – rec).
Sucus «(di) Succonio». gentilizio masch. in genitivo anche patronimico fossilizzato (LEGL 78) (Cr 1.152, 155, 172): Larθi Sucus «Lartia (figlia o moglie) di Succonio» (su vaso; Cr 2.131 – 4:f). Vedi Zuχus.
Sukisnas «di Successinio», gentilizio masch. in genitivo, da confrontare con quello lat. Successinius (RNG); mi Laives Sukisnas «io (sono) di Laevio Successinio» (2 gentilizi o gentilizio e cognomen) (AV 2.1). Vedi Sucisnaia.
Suχu forse «aroma, profumo», da confrontare col lat. sucus «succo, umore»(?)(TC1). Vedi suci, Zuχu, zuχne. (ma nella traduzione del testo completa scrive Iluχu; nota mia)
LAT. S
Successinius antroponimo (RNG) da confrontare con quelli etr. Sucisna(-ia), Sukisna (DETR 384, 387) (alternanza e/i; suff. –in-).
Succonius antroponimo (RNG) da confrontare con quelli etr. Sucu, Zuqu, Zuχu, Zuχni, Zuχuna (DETR 184, 385; REE, 2006, 26) (suff. –on-/-u(n)-). Vedi suc(c)us.
succo,-onis «succhiatore», «usuraio», da confrontare con gli antrp. etr. Sucu, Zuqu, Zuχu, Zuχni, Zuχuna (DETR 184, 385; REE, 2006, 26) (suff. –on-/-u(n)-). Vedi Succonius.
succus, sucus «succo, sugo» (di origine ignota; DELL) probabilm. da confrontare con gli antrp. etr. Sucu, Zuqu, Zuχu (DETR 184, 385). Vedi Succonius.
sucinum, succinum «ambra» (resina fossilizzata, molto adoperata nei gioielli) (indeur.; DELL) forse da confrontare con gli antrp. etr. Sucnei, Zuχni (DETR 184, 385) (suff. –in-). Vedi Sucinus.
Sucinus antroponimo (RNG) da confrontare con quelli etr. Sucnei, Zuχni (DETR 184, 385) (suff. –in-). Vedi suc(c)inum.
ETR. Z
Zucenas «di Socen(n)io», gentilizio masch. in genitivo, da confrontare con quello lat. Socen(n)ius (RNG) (Oa 2.24). Vedi Sucnei.
zuci probabilm. «così, così come», da confrontare col lat. sic, soc «così» (AV 4.1): zuci enesci «così come ho deliberato», come formula giuridica fissa (Cippus; Pe 8.4/3). (in questo caso, pur essendo identica la radice, la desinenza in -i potrebbe indicare un significato diverso, nota mia).
zucre forse «suocero» (?), da confrontare col lat. socer, socrus «suocero» (DELL): Av Sure zucre «Aulo Surio suocero» (su coperchio d’ossuario; Ar 1.24- rec).
Zuqu «Succonio». variante di Zuχu «Succonio»: [Avi]le Zuqu me turace Mena[r]vas «Aulo Succonio mi ha donato a Minerva» (su vaso; Ve 3.29 – 6:).
Zuχnal «di Succonia», femm. del gentilizio Zuχni, in genitivo (Cl 1.60,168,170,171,832,2319).
zuχne forse «succoso, sugoso-a», aggettivo (LEGL 89), da confrontare col lat. suc(c)us (?) (TC 15). Vedi zuχuna, suci, suχu.
Zuχni «Succonio», gentilizio masch., da confrontare con quello lat. Succonius (RNG) (Cl 1.1767). Vedi Sucu, Zuqu, Zuχu.
Zuχnis «di Succonio», genitivo di Zuχni (Cl 1.1768).
Zuχu «Succonion», gentilizio masch. da confrontare con quello lat. Succonius (RNG) (Cl 1.1619. 1769, 1770. 2173). Vedi Zuqu, Sucus, suχu.
zuχuna vocabolo di significato ignoto; da connettere forse con zuχne (?) (Cr 4.10).
Zuχus «di Succonio», gentilizio masch. in genitivo; mi Lareces Zaχus Mutus suθi «io (sono la) tomba di Larce Succonio Muttone» (2 gentilizi o gentilizio e cognomen) (su facciata di sepolcro; Vs 1.136 – 6/5) (Fa 2.15; Cl 1.1771; Pe 1.965). Vedi Sucus.
Alcuni altri glossari, oltre a quello del Pittau, ne riportano una traduzione, ma non sono ancora riuscito a sapere su quali fonti si basino e li cito con beneficio d’inventario:
1) è interessante l’ Etruscan Glossary di Glenn Gordon per la traduzione di zuχ con “sanguinare, far scorrere il sangue” [“zuχ v.tr. to bleed, to let blood from, zuχne (midd.pret.) // zuqu (part.)”] e di zuχiana (forma da me mai incontrata prima e che l’autore spiega di aver ricavato da zucienes-ci dopo aver corretto a sua opinione la scorretta divisione tra le parole zuci-enesci) con “bloodletting cup” (“coppetta per salasso”, di cui parlerò più diffusamente in SUCCO) facendo riferimento proprio ai già citati cippo di Perugia e tabella di Santa Marinella:
[“zuχana ‘sacrifice’ zuχiana ni.(II) ‘bloodletting cup’, zuχuna (na.sg.) // zucienes, zucieneś (dat.sg.)” “Modified form and translation to zuχiana ‘bloodletting cup’ based on zucieneś from CPer B.xi-xii and zuχuna of TLE 878. In the Cippus Perusinus, I reparse the misanalysed phrase “zuci eneści” as the words “zucieneś ci”. Thus the phrase points to a noun numbering three and which, by lacking a plural ending before the numeral, is therefore grammatically inanimate.” > trad. mia dall’inglese: “Forma modificata e traduzione in zuχiana ‘coppetta per salasso’ basata sulla forma di zucieneś di CPer B.xi-xii e di zuχuna di TLE 878. Nel Cippus Perusinus, rianalizzo la frase erroneamente analizzata come “zuci-eneści” in “zucieneś-ci”. Pertanto la frase indica un sostantivo che numera tre (ci) e che, mancando di una desinenza plurale prima del numero, è quindi grammaticalmente non declinato.”]
ma non si spinge a fare la traduzione del testo completo e non saprei dire come la sua diversa interpretazione possa accordarsi con tutto il resto, cioè come possa entrare una coppetta per salasso in una tabella defixionis.; inoltre la reputazione mediatica di questo studioso non è delle migliori.
2) e poi l’apparentemente meno accurato e più aleatorio Etruscan Glossary di Rick e Silvia Mc Allister (del resto mi sento di concordare col prof. Pittau quando dice: «è molto meglio una ipotesi azzardata, che non alcuna ipotesi; infatti, da una ipotesi azzardata – che alla fine potrebbe anche risultare errata – prospettata da un linguista, potrà in seguito scaturire una ipotesi migliore e addirittura quella vincente, prospettata da un linguista successivo»);
3) infine l’ Etymologie des noms romains d’origine étrusque [article] (1956) di Albert Carnoy, che asserisce alla voce “Sociennus, Socconius, Sociellus, Succonius” che
“L’etr. zuchna significa ‘altare’ e zuchu(n) è un ‘prete’ (zu-c <sacrificare> dall’ie. dhu-∂co- , la radice dheu del gr. θυω <sacrificare>, θυηλη <offerta> e l’etr. z sta per dhu)” (traduzione mia dal francese del testo originale).
Ma, anche in questi ultimi due casi, non si capisce su quali basi venga stabilita la derivazione etimologica dato che in altre lingue sicuramente indoeuropee non si ha lo stesso esito; soprattutto nell’ultimo caso non viene argomentata la corrispondenza tra la Z etrusca e la DH protoindeuropea: se in greco esita in Θ (theta), avrebbe dovuto farlo anche in etrusco, che utilizzava nei propri alfabeto e lessico la medesima dentale aspirata; inoltre il suffisso -na è aggettivante, tradurre zuchna (che abbiamo visto essere una sincope di zuchuna) come un sostantivo ben diverso da “prete” mi sembra un po’ azzardato.
Relitti toponomastici
Sugàno (Orvieto, TR)
Questo piccolo borgo medievale si trova a 10 km da Orvieto (anche la metà, in linea d’aria) e porta un toponimo che non può lasciare indifferenti mentre si cercano le origini del gentilizio etrusco. Presenta il tipico suffisso prediale -ano che potrebbe sicuramente testimoniarne una latinizzazione, ma la radice è una riconoscibile sug- < zuχ-/suc- (l’etrusco non aveva il fonema G) del gentilizio di un possibile proprietario etrusco Zuχu/Sucu; inoltre in antico la -g- era una -c-, come documentato in una lettera del 1549 indirizzata a Papa Paolo III Farnese, in cui si parla del rinomato vino Sucàno. Per la vicinanza con Orvieto e la necropoli della Cannicella in cui è stata ritrovata l’iscrizione precedente, mi sento di proporre il toponimo come non solo di origine etrusca, ma anche come testimonianza della connessione con la famiglia, se non l’individuo, della gens Zuχu. Non so ancora dire chi dei due abbia trasmesso il nome all’altro, ma vale la pena indagare.
Appena fuori dal borgo si trova un podere a cui è stato dato il nome di Madonna del Latte. Da me contattata, la gentilissima proprietaria mi ha spiegato che il toponimo, registrato a catasto, deriva da un’immagine (non sa dire se dipinta o scolpita) di una Madonna Lactans che doveva trovarsi in una piccola cappella o edicola, ora inglobata dal cimitero di San Quirico. Come in molti altri casi, questo genere di icona sacra venne ritenuta sconveniente dopo il Concilio di Trento e si provvide a smantellarne le immagini, od a riconvertirle coprendo il seno ed addirittura cambiandone la dedicazione, ma la devozione popolare continuò ugualmente tra le puerpere senza latte ed a protezione della fertilità e dell’allattamento. Questo tipo di rappresentazione ha una storia antichissima che risale all’antico Egitto, con Iside adorata mentre allatta il figlio Horus, ed anche al periodo etrusco e romano, con la dea Uni / Giunone intenta ad allattare Ercole. Nell’antichità questo tipo di culto era di solito insediato in grotte e presso sorgenti d’acqua che, non a caso, veniva considerata come il latte della Terra ed a Sugàno, pur mancando la grotta, le sorgenti d’acque termali sono numerose; in particolare la via che costeggia il cimitero dove pare si trovasse l’immagine della Vergine si chiama Via Delle Acque e proviene dalla zona in cui si trova una delle sorgenti, la fonte Tione. Non so ancora quanto antichi siano questo idronimo e quell’odonimo, ma ne sto ricercando i documenti.
Se questa connessione tra toponimo e gentilizio fosse confermata, aumenterebbe la possibilità che il significato della radice fosse legato all’ambito semantico del latino sucus,-i = succo, linfa, poiché facilmente riconducibile all’acqua, al sangue ed anche al latte, senza dimenticare il vino. Sul fondo della valle ai piedi del borgo scorre anche il torrente Sugano che, per il fatto di avere la terminazione in -ano, ritengo abbia preso il suo idronimo dal prediale; ma non lontano, in regione Toscana, si trovano idronimi che sembrano slegati da toponimi prediali romanizzati:
1) il torrente Socenna (ma sulla CTR Toscana Sucenna) (SI), con l’affluente fosso della Socenna (ma sulla CTR Toscana Sucenna), che scorre in comune di Radicofani (SI) e costeggiando la provinciale 53 si getta nell’Orcia;
2) il toponimo Socena (AR), ad est di Arezzo, al centro di una zona collinare ricca di sorgenti. Di questo toponimo in “BibAr, Biblioteca Archeologica Online, Volume VII: Radicofani“, Lucia Botarelli, Nuova Immagine Editrice (SI) – 2005, si dice:
pag. 129 “Tra gli andronimici etruschi diffusi nell’area chiusina, interessante appare la presenza del gentilizio Sucnei, Zuchna/-nei, attestato cinque volte nel CIE. Si tratta di cinque brevi iscrizioni funerarie, incise su urnette in pietra o tegole sepolcrali, recanti semplici formule onomastiche, redatte tramite l’uso dell’alfabeto recente (CIE 414, 1194, 1195, 2248, 2249). Per l’esattezza esse provengono in due casi dall’abitato di Chiusi, in due casi dall’agro chiusino e, in un caso, da Bettole, che, pur facendo parte del territorio di Arezzo, ebbe sicuramente stretti rapporti con quello di Chiusi. A Radicofani, infine, è attestato l’idronimo Socenna, che Pieri riconduce appunto al gentilizio Sucnei, Zuchna/-nei (Pieri, 1969, p. 39). Per quanto non si possa istituire un collegamento diretto tra la zeta incisa sulla coppa a vernice nera proveniente da località La Palazzetta e il gentilizio in questione, appare comunque suggestiva la presenza, a poche centinaia di metri di distanza dal luogo del rinvenimento della coppa stessa, di un idronimo derivante per l’appunto da questo gentilizio. Cfr. pp. 189-190″.
pag. 181 “L’idronimo Socenna, infine, indica tuttora un affluente di sinistra del fiume Paglia (in realtà sfocia nell’Orcia, nota mia). È riconducibile al gentilizio Sucnei, Zuchna/-nei, poi trasformatosi in latino in Socennius (Poti, 1969, p. 39) (aggiungerei Succonius, Socconius, nota mia). L’andronimico etrusco è documentato in cinque iscrizioni, di cui due provengono dall’abitato di Chiusi, due provenienti dall’agro Chiusino e una da Bettole, nel comune di Sinalunga (CIE nn. 414, 1194, 1195, 2248, 2249). Si tratta anche in questo caso di brevi iscrizioni, recanti semplici formule onomastiche, incise su urnette in pietra o tegole sepolcrali e redatte tramite l’uso dell’alfabeto recente. Nel CDA è attestato un casale Saucine (n. 46, anno 796)../..Il Codex Diplomaticus Amiatinus, inoltre, riporta anche il nome di un casale indicato come Saucine, probabilmente in riferimento all’area limitrofa al corso del torrente Socenna (CDA, I, n. 46) (ma io ritengo si tratti del secondo toponimo da me indicato: Socena, nota mia)”.
pag. 187 “Dall’analisi della distribuzione dei siti di età etrusca, soprattutto di quelli di probabile età ellenistica, sembra probabile che il percorso transitante per Le Conie e diretto verso il corso del Formone proseguisse anche in direzione nord, in modo non dissimile dalla attuale strada provinciale 18, transitante sui rilievi che costituiscono lo spartiacque tra Formone e Orcia. Un altro tracciato, forse poco più di un sentiero, doveva invece correre parallelamente al corso del torrente (magari secondo l’andamento della attuale via vicinale dei Marmi, posta sui primi rilievi a est del corso d’acqua), come testimonierebbe la presenza di più abitazioni nelle immediate vicinanze. Questo percorso, evidentemente a uso solo locale, metteva invece in comunicazione Radicofani con le comunità poste nella parte più settentrionale del territorio di Sarteano.”
pag. 189 “Si potrebbe forse immaginare che essa (la ceramica a vernice nera, nota mia) venisse considerata una sorta di merce pregiata da parte degli abitanti locali, affiancati magari proprio in questo periodo. Interessante, a questo proposito, appare la presenza di una piccola lettera iscritta sul fondo di una coppa a vernice nera proveniente da una casa di medie dimensioni localizzata a poca distanza dal corso del fiume Orcia. Per quanto la forte usura superficiale del frammento non consenta una lettura agevole, sembra comunque di poter ricondurre il segno pre-sente a una piccola “zeta”, riconducibile a un gentilizio piuttosto diffuso nella zona come Zuchna, Zuchnei. Si tratta di un andronimico attestato in cinque brevi iscrizioni funerarie provenienti in due casi da Chiusi, in altri due dal territorio Chiusino e in un caso da Bettole127, che faceva forse già parte del territorio di Arezzo ma che ebbe sicura-mente intensi contatti anche quello di Chiusi128…
127 CIE, 414, 1194, 1195, 2248, 2249. Le iscrizioni sono tutte incise su urnette in pietra o tegole sepolcrali e recano delle semplici formule onomastiche, redatte tramite l’uso di lettere dell’alfabeto recente.
128 Bettolle sorge su di una collina in posizione strategica a poca distanza dal corso del Clanis. I corredi delle tombe note nella zona testimoniano infatti frequenti e facili rapporti con Chiusi, grazie al rinvenimento di vasi in bucchero decorati a stampo di produzione chiusina (PAOLUCCI, 1996, pp. 136-137, con bibliografia).
pag. 190 …Il gentilizio è inoltre documentato proprio all’interno del territorio comunale di Radicofani dal fossile linguistico Socenna, oggi un idronimo che designa un torrente immissario del fiume Orcia. A ogni modo, la presenza di una lettera redatta con alfabeto etrusco a indicare un gentilizio anch’esso etrusco appare indicativa della tendenza, riscontrata anche in altre zone dell’Etruria, al conservatorismo linguistico 13°.
3) il torrente Suga (SI), con l’affluente fosso del Sughino, che lambisce Montalcino gettandosi nell’Ombrone nei pressi di Badia Ardenga;
4) il torrente Sugana (FI), con l’affluente borro Suganella, che si getta nel Pesa all’altezza di Cerbaia di San Casciano;
5) il toponimo Pieve di Sòcana (AR), in antico Soca, area archeologica che fa parte di quelle pievi battesimali (cioè quelle dotate di fonte battesimale, quindi legate a riti lustrali fin dall’antichità) distribuite lungo la strada tra Arezzo e la Romagna, i quali, secondo il Pittau, “sono da confrontare con i gentilizi etruschi Savcne(-s), Sucn(-ei), Zuχna (ThLE2 169,352, 373), come anche la Val Sugana (TN), posta in territorio retico” (“Toponimi toscani di origine etrusca“, M. Pittau, ed. Ipazia – 2018, pag. 57);
6) Sugame (poggio di 580 mt, da cui sgorga l’omonimo borro di scolo, passo tra Chianti e Valdarno sulla SP 16, ed anche gruppo di case) in comune di Greve in Chianti (FI).
Anche questo toponimo, con cui si identifica una frazione appena fuori la rupe di Orvieto, al di là del fiume Paglia, è interessante ai fini della ricerca per un’assonanza ravvisabile con Cìcogni (PC), anche se l’accento cade diversamente, di cui ho scritto nella pagina FUNDUS SUCCONIANUS. Anche in Toscana è presente un Cicogna (AR).
Nella pagina successiva SUCUS cercherò di argomentare più approfonditamente la corrispondenza col sostantivo latino che potrebbe aver fornito a quello etrusco la traduzione del significato, senza escludere altre possibili corrispondenze e derivazioni.