Struttura delle dichiarazioni ed evoluzione del territorio e della proprietà fondiaria nella Tavola di Veleia
di Giorgio Petracco, Giulia Petracco Sicardi
Premessa
Negli ultimi anni abbiamo ripreso insieme e approfondito, in sei contributi pubblicati nell’Archivio Storico delle Province Parmensi fra il 2005 e il 2012, il lavoro sulla Tavola di Veleia iniziato da Giulia Petracco Sicardi negli anni sessanta, i cui primi risultati erano contenuti nella sua relazione al III Convegno di Studi Veleiati del 1967. Attraverso il confronto fra il testo della Tabula, la toponomastica attuale e storica e la conformazione fisica dell’appennino piacentino e parmense, riteniamo oggi di essere riusciti a ricostruire con una forte approssimazione la struttura interna e i confini del territorio di Veleia all’inizio del II secolo e, in qualche misura, anche la sua interfaccia coi territori dei municipi contermini, e in particolare con quello di Piacenza. Il risultato è riportato in due tavole, poste in appendice al testo del nostro intervento insieme all’elenco delle corrispondenze toponomastiche più attendibili e alla illustrazione di quelle ancora inedite.
La ricostruzione potrà in futuro essere ancora affinata, e se del caso corretta, se verranno individuate nuove corrispondenze toponomastiche, attraverso la rilevazione dei toponimi di fonte orale e l’analisi delle fonti scritte medioevali e dei Catasti Farnesiani, ancora largamente inesplorati. Tuttavia già oggi il livello di ricostruzione raggiunto ci permette di collocare sul territorio con una sufficiente approssimazione le singole proprietà dichiarate nella Tabula e quindi, insieme ai dati direttamente offerti dal testo, di ricostruire la struttura e la logica economica dei patrimoni fondiari. Sarà questo l’obiettivo principale di un’opera organica sulla Tavola di Veleia, da mettere a punto nei prossimi anni.
In questa sede sviluppiamo alcuni approfondimenti riguardanti: a) le diverse caratteristiche e la formazione delle dichiarazioni dei proprietari, b) l’origine delle denominazioni fondiarie riportate nella Tabula, c) la ripartizione interna del territorio veleiate e in particolare le differenti nozioni di pagus e vicus e la questione cosiddetta del “dualismo limitaneo”, d) l’evoluzione dell’economia agraria a Veleia dall’inizio della colonizzazione fino al tempo della Tabula.
Le dichiarazioni dei proprietari
La grande maggioranza delle 51 dichiarazioni della Tavola di Veleia (46 della Praescriptio recens e 5 della Praescriptio vetus) seguono lo schema che alla fine del II secolo sarà codificato da Ulpiano nel De censibus, ma che era certamente già utilizzato ai tempi della Tabula e probabilmente assai prima. Di ogni proprietà agraria viene quindi indicato il nome, la città, il pago e due confinanti. Vi sono tuttavia alcune dichiarazioni che non rispettano questo schema.
Il caso più noto e importante è quello dei Coloni Lucenses (TAV VI, 60-78; cfr. Petracco, Petracco sicarDi 2005, pp. 283-297), che, oltre a dichiarare solo il valore complessivo delle loro proprietà, le definiscono con dei toponimi d’area, probabilmente in molti casi dei “vici”, senza menzione né degli adfines, né del pago e preceduti sempre da “saltus praediaque”, che è espressione generica, dietro la quale nei singoli casi ci può essere un saltus e/o uno o più fondi, di cui non si dice il nome. Anche Sulpicia Priscilla (TAV II, 4-11), nella sua dichiarazione estremamente stringata, considerato il valore delle proprietà, usa l’espressione “saltus sive fundos”, che appare del tutto analoga a quella usata dai Coloni Lucenses, seguita dall’indicazione delle zone “Rubacotius” e “Solicelo”, quasi sicuramente dei “vici”. Nella dichiarazione di C. Pontius Ligus (TAV VI, 11-15), l’indicazione dei confinanti è sostituita da quella della zona, il sup. vico Irvacco, dove si trovano tutti i fondi, di cui viene dato solo il valore complessivo. Nella dichiarazione di M. Mommeius Persicus (TAV II, 36-86), fra una prima e un’ultima parte regolare, è inserita una sequenza di otto fondi e un saltus, tutti valutati singolarmente, la cui ubicazione è indicata, esplicitamente per il primo ma implicitamente anche per gli altri,
nel vicus Flania del pago Ambitrebio, mentre all’indicazione dei confinanti si assolve con la formula “se et alis”. L. Licinius L. filius (TAV IV, 54-56) dà solo il valore complessivo dei cinque fondi che possiede nel pago Dianio, senza altre indicazioni, mentre nello stesso pago M. Varius Felix (TAV IV, 101-V, 1-6), pur denunciando i suoi fondi singolarmente coi rispettivi valori, dà una lista complessiva degli adfines. Vi sono poi dei proprietari, come C. Volumnius Epaphroditus (TAV IV, 36-53) e L. Maelius Severus (TAV IV, 57-82), che, pur rispettando formalmente in tutta la loro dichiarazione lo schema di Papiniano e impegnando singolarmente
le altre loro proprietà, denunciano con un unico valore molto consistente un gruppo di loro fondi sparsi in un’area vasta (il pago Meduzio, la sponda destra del Trebbia fra Ambitrebio e Vercellense).
La sommarietà di queste dichiarazioni, fra cui alcune delle più consistenti, è un elemento contraddittorio rispetto alla funzione della Tavola di Veleia, incisa nel bronzo ed esposta nel foro, di costituire un riferimento certo per la risoluzione delle controversie che sarebbero potute nascere in futuro circa il pagamento dell’onere permanente, che l’istituzione alimentaria aveva posto a carico non dei proprietari originari, bensì dei fondi che erano stati impegnati, e che quindi si trasferiva col passaggio di proprietà degli stessi. In questo quadro la sommarietà di una dichiarazione rendeva un problema di difficile soluzione stabilire l’onere a carico dei nuovi proprietari in caso di scomposizione della proprietà. E dunque, come mai furono accettate queste dichiarazioni sommarie?
Una risposta potrebbe forse essere che l’obiettivo dell’iniziativa di Traiano era soprattutto la redistribuzione del bottino delle campagne daciche, mentre la continuità del buon funzionamento dell’istituzione alimentaria contava di meno, ma altre spiegazioni, come l’esistenza di altre documentazioni che potevano integrare il testo della Tabula, sono certamente possibili.
L’analisi del testo della Tabula ci ha poi portato a ritenere errata l’opinione del Veyne, per cui essa sarebbe essenzialmente «une transcription d’extraits de registres du cens» (veYNe 1958, p. 178). Pensiamo invece che i proprietari nel fare le loro dichiarazioni si siano appoggiati generalmente agli atti di acquisto in loro possesso, talvolta riportandoli quasi integralmente, talaltra riassumendoli.
Alla base di questa nostra convinzione vi è anzitutto l’esistenza di almeno tre dichiarazioni in cui due parti di uno stesso fondo vengono denunciate separatamente. M. Virius Nepos (TAV I, 5-39) denuncia prima il fundus Munatianus Attianus cum casis, situato nel pago Iunonio, dichiarandone il valore in 28.000 sesterzi, e, subito dopo, lo stesso fondo, dichiarando però un valore di soli 14.000 sesterzi: la differenza fra i due valori, uno il doppio dell’altro, impedisce di pensare a una ripetizione e indirizza invece verso l’acquisto separato delle due quote (2/3 e 1/3) del fondo da due diversi proprietari. In un’altro caso C. Dellius Proculus (TAV II, 95-104 e III, 1-10) ha denunciato prima una metà del fundus Asellianus Egnatianus cum meridibus, anch’esso nello Iunonio, del valore di 33.000 sesterzi, poi, separatamente, il fundus Corbellianus Asellianus Egnatianus cum meridibus, del valore di 53.000 sesterzi, evidentemente acquistato in un momento successivo dal proprietario dell’altra metà dell’Asellianus Egnatianus cum meridibus, che l’aveva unita a un fondo adiacente, il Corbellianus, del valore di 20.000 sesterzi. Il terzo caso è quello di C. Vibius C. filius (TAV IV, 90-100), che prima dichiara il fundus Vibullianus Calidianus, situato nel pago Bagienno, valutandolo, insieme ad altre due proprietà, 45.660 sesterzi, poi dichiara lo stesso fondo, specificando questa volta che si tratta della metà, per 15.000 sesterzi: è chiaro che il fondo è stato acquistato in due tempi ed ha un valore di 30.000 sesterzi.
Anche l’esistenza in alcune dichiarazioni (come quelle, già citate in precedenza di Mommeio Persico, Volumnio Epaphrodito e Maelio Severo) di gruppi importanti di fondi denunciati con un criterio diverso dagli altri o con un unico valore può essere spiegata con l’acquisizione di interi patrimoni. Portano ad escludere che le dichiarazioni della Tabula siano ricavate direttamente dai registri del censimento anche le differenze che si riscontrano nella denominazione di una stessa proprietà in due diverse dichiarazioni.
Così il saltus Attinava di Vibio Severo (TAV VII, 51) è riportato come saltus Attianus nella dichiarazione di Mommeio Persico (TAV II, 53); i fundi sive saltus Catusaniani di Virio Nepote (TAV I, 28) diventano un fundus sive saltus Catucianus nella dichiarazione di Dellio Proculo (TAV III, 6); il fundus Eburelia cum silvis della dichiarazione di Naevio Vero (TAV I, 45) è riportato come saltus Eborelia in quella di Sulpicia Priscilla; il saltus Tuppelius Volumnianus di Cornelio Onesimo (TAV I, 100) corrisponde al fundus Tuppilia Vibullianus Volumnianus di Cornelio Helio (TAV V, 32). Questa serie di corrispondenze mostra anche come, essendovene i presupposti, la stessa proprietà potesse essere definita fundus o saltus e come il dichiarante (o forse in alcuni casi già l’estensore dell’atto d’acquisto) potesse usare la denominazione completa della proprietà o una forma abbreviata. Quest’ultima circostanza si riscontra anche nella corrispondenza seguente, che riportiamo integralmente e analizziamo nel dettaglio dei suoi molteplici aspetti interessanti.
Ob. 2 – M. Virius Nepos (I, 32-36) …et fundum Cornelianum Collacterianum Flaccelliacum, cum colonia Munatiana artefigia, pro parte dimidia et coloniam Vettianam Cornelianam pro parte quarta, in Veleiate pago Iunonio, adfinibus Coelio Vero et Catunio Pupillo et populo…, dichiarato per un valore di 26.300 sesterzi.
Ob. 16 – C. Coelius Verus (III, 14-16) …fundum Collacterum pro parte dimidia et colonia Cinnerum pro parte quarta, qui sunt in Veleiate pago Iunonio, adfinibus Valerio Adulescente et Virio Nepote et populo…, dichiarato ‘duabus summis’ insieme al fundus Antonianus del pago Medutio per un valore complessivo di 37.400 sesterzi.
La prima osservazione è che, se ipotizziamo che il fundus Antonianus avesse un valore di 11.100 sesterzi, cosa del tutto credibile, la proprietà di Coelio Vero poteva valere anch’essa 26.300 sesterzi e corrispondere in toto a quella di Virio Nepote. La proprietà complessiva, di cui i due possedevano ciascuno una metà, valeva dunque 52.600 sesterzi e si componeva del fundus Cornelianus Collacterianus Flaccelliacus cum colonia Munatiana artefigia, riportato sinteticamente da Coelio Vero come fundus Collacterus, e del 50% della colonia Vettiana Corneliana, chiamata colonia Cinnerum nella dichiarazione di Coelio Vero (l’altra metà della colonia poteva essere di proprietà di Catunio Pupillo e Valerio Adulescente, che vengono citati come adfines). La colonia Cinnerum, era stata identificata dal Formentini (formeNtiNi 1930, p. 14) con la località di Celleri sul torrente Vezzeno sulla base della vicinanza con Corneliano (che è sicuramente il continuatore di un fundus Cornelianus, e molto probabilmente proprio di quello di cui ci stiamo occupando). Ma Celleri deriva invece sicuramente da un ablativo plurale *cellulis, che ha molti continuatori nella toponomastica attuale e nel tardo antico significava “luogo con piccoli magazzini”, mentre successivamente è stato utilizzato dai monaci per indicare una dipendenza secondaria di uno stabilimento monastico. La colonia potrebbe invece essere stata chiamata anche Cinnerum, in alternativa al nome ufficiale, per essere situata sul confine col pago Sinnense, mentre l’idronimo Vezzeno ha qualche probabilità di continuare il nome della colonia Vettiana e testimonia comunque certamente la presenza in quella zona della gens dei Vettii. La denominazione Collacterianus / Collacterus ha alla base il latino collacteus “fratello di latte”: non deriva quindi da un gentilizio, ma fa parte della serie Paternus / Maternus, di cui parleremo nel prossimo paragrafo, e significa “fondo ereditato dal fratello da parte di madre”. Il fatto che si sia poi fissato come toponimo Corneliano ci ricorda come spesso la tradizione scritta e quella orale seguano vie diverse. Flaccelliacus può rimandare a un gentilizio *Flaccellius, di cui si discute se derivi dal diffuso cognomen Flaccus, ma è attestato anche un femminile Flaccilla (schulze 1966, pp. 272-273 e 462). Per quanto riguarda la colonia Munatiana artefigia si vedano le “Note toponomastiche” sul toponimo Mulazzana.
L’origine delle denominazioni fondiarie
La grande maggioranza delle denominazioni delle proprietà agrarie impegnate nella Tavola di Veleia, così come moltissimi toponimi arrivati fino a noi o attestati nei documenti medievali in tutta Italia e in molte regioni che facevano parte dell’impero romano, sono riconducibili a gentilizi romani conosciuti: è quindi evidente che derivano dal nome di un loro proprietario.
Ma a quando risale la loro ufficializzazione, che è certamente alla base della loro utilizzazione successiva e della loro fissazione come toponimi? E con quale criterio, che deve essere stato il medesimo in tutto il dominio di Roma o quantomeno in Italia, sono state scelte? Già il De Pachtère (De Pachtère 1920, pp. 59-60) ha individuato il momento nel periodo augusteo (29 a.C.-14 d.C.) e l’occasione in un censimento fondiario. I presupposti vi erano già da una quindicina d’anni, giacchè nel 49 a.C. a Veleia e a molte altre città della Cisalpina fu riconosciuto lo status di municipio romano e pochi anni dopo, nel 45 a.C., la lex Iulia municipalis sanciva l’obbligo per tutti i municipi di fare il censimento. Ma di censimenti non ve ne furono fino al 28 a.C., essendo ormai in corso il principato di Augusto, che ne ordinò altri due, quello dell’8 a.C. e quello del 13 d.C., che costituisce il termine “post quem non”, in quanto sappiamo da Dione Cassio che in quell’occasione furono censite le proprietà agrarie di tutta l’Italia.
Quanto al criterio con cui è stato dato ai fondi il nome di un proprietario, le ipotesi si riducono a tre: a) sono stati dati i nomi dei proprietari al tempo del censimento, oppure b) quelli dei proprietari da cui avevano acquisito la proprietà, oppure ancora c) quello dei primi proprietari romani del fondo. Il dubbio può essere sciolto se si considera la serie di citazioni che troviamo nella Tabula di fondi denominati Paternus o Maternus, di cui di seguito diamo la lista:
Ob. 16 – C. Coelius Verus: III, 18-19 …item fundum Vembrunium Paternum, qui est in Veleiate pago Domitio, adfinibus Licinio Catone et Sulpicia Priscilla.., dichiarato per un valore di 71.000 sesterzi; III, 26-28 …et fundum Paternum, pro parte quinta et parte decima,…in Veleiate pago Domitio…, dichiarato insieme a molti altri fondi o porzioni di fondi.
Ob. 21 – C. Calidius Proculus: IV, 22-23 …fundum Paternum, in Veleiate pago Albense Blondeliae Seceniae, adfinibus Calidio Vero et Antonis Vera et Prisco.., dichiarato per un valore di 94.600 sesterzi; IV, 24-25 …fundum Maternum Munatianum, pago suprascripto (Albense Blondeliae Seceniae), adfinibus Antonis Prisco et Vera…, dichiarato insieme a molti altri fondi.
Ob. 22 – C. Volumnius Epaphroditus: IV, 47-48 …item fundum Paternum, qui est Placentino pago Vergellense, adfinibus Castricio Nepote et populo…, dichiarato per un valore di 32.000 sesterzi.
Ob. 26 – C. Vibius Cai filius: IV, 91-92 …fundum Satrianum Paternum, qui est in Veleiate pago Bagienno, adfinibus Cornelia Severa, Caio Naevio Firmo et populo…, dichiarato per un valore di 40.000 sesterzi.
Ob. 28 – Cn. Antonius Priscus: V, 13-14 ..item fundum Calidianum Atedianum Maternum, pro parte dimidia, pago suprascripto (Domitio), adfinibus Lucio et Caio Annis et populo.., dichiarato per un valore di 20.000 sesterzi; V, 18-20 …item fundum Veturianum Virianum Vibianum Satrianum Paternum, pago suprascripto (Domitio), adfinibus Lucio et Caio Annis et Afranio Apthoro et populo…, dichiarato per un valore di 133.000 sesterzi; V, 29-30 ..et fundum Minicianum Lapponianum Histrianum Paternum, in Veleiate pago Bagienno, adfinibus Lucio et Caio Annis et populo…, dichiarato insieme a due altri fondi.
Ob. 34 – C. Pontius Ligus: VI, 12 …et fundum Paternum,…in Veleiate pago Salvio superiore vico Irvacco…, dichiarato insieme agli altri fondi di sua proprietà.
Si tratta quindi in totale di otto “fundus Paternus”, di cui quattro isolati e quattro accompagnati da altri prediali, e due “fundus Maternus”, entrambi accompagnati da altri prediali. Anche recentemente (cfr. aGer veleias 2003, p. 265 e pp. 269-329) si è voluto considerare queste espressioni degli aggettivi, traducendole con “ereditato dal padre”, “ereditato dalla madre”.
Ma al tempo della Tabula esse erano invece ormai i nomi, o una parte delle denominazioni, di quei fondi. Come giustificare altrimenti i quattro fundus Paternus isolati? E soprattutto ancor oggi in tutta Italia abbiamo, limitandoci ai soli nomi dei comuni e delle frazioni, ben diciannove toponimi Paderno (al nord, e un solo Maderno) e quindici Paterno (nel centro-sud). La fissazione di tanti toponimi dimostra che Paternus e Maternus (quest’ultimo forse accompagnato dal gentilizio della famiglia della madre) sono diventati denominazioni fondiarie ufficiali in occasione del censimento augusteo al pari dei prediali da gentilizio. Ciò esclude che la regola per dare il nome a ogni fondo censito, valida almeno per tutta l’Italia, sia stata quella di utilizzare il gentilizio di chi ne era proprietario al tempo del censimento. Ci si sarà invece riferiti all’ultimo passaggio di proprietà conosciuto (o, non si può escluderlo del tutto, all’intera storia conosciuta dei passaggi di proprietà del fondo) e questo giustifica l’utilizzo di Paternus e Maternus, così come del raro Collacterus / Collacterianus, nei casi in cui non si aveva notizia di un precedente proprietario al di fuori della famiglia. Questa regola appare anche più logica, in quanto permetteva nel caso di proprietari di più fondi, magari contermini, che in epoca augustea sarà già stato sicuramente un caso frequente, di dare dei nomi diversi alle singole proprietà. La conclusione da trarre è che i gentilizi ricavabili dai nomi dei fondi dichiarati nella Tavola di Veleia non sono quelli dei proprietari in età augustea al momento del censimento in cui sono stati fissati i nomi dei fondi, destinati a rimanerci sconosciuti, ma appartengono a proprietari precedenti e fra loro non contemporanei, giacchè l’ultimo passaggio di proprietà può essere avvenuto pochi o molti anni prima del censimento, comunque mediamente riferibili al I secolo a.C. e al periodo repubblicano.
La regola da noi ipotizzata per la nominazione dei fondi permette anche di capire la ragione delle numerosissime intitolazioni plurime, che non possono essere sempre spiegate come accorpamenti di fondi prima indipendenti, soprattutto nel caso di proprietà di basso valore. Il fenomeno era già stato notato dal De Pachtère, che, volendosene dare una ragione, ha immaginato una complessa sequenza di scomposizioni e ricomposizioni dei fondi, successive alla loro nominazione, che non riesce a risultare veramente convincente (De Pachtère 1920, pp. 62-68). Se invece riflettiamo sul fatto che molti dei fondi dei proprietari augustei devono essere stati acquistati da delle comproprietà, possiamo comprendere come questi fondi abbiano ricevuto un’intitolazione plurima fin dal momento della loro prima nominazione in età augustea.
Prendiamo ad esempio la dichiarazione di Marcus Antonius Priscus (TAV I, 64-91), che impegna personalmente a Veleia le sue 14 proprietà, consistenti in ben 18 fondi (e nessun saltus), tutti di poco valore e tutti concentrati nei vici Blondelia (alta val Nure) e Secenia (zona di S. Stefano d’Aveto) del pago Albense, quindi in una zona di montagna, per un valore totale di 233.000 sesterzi. Sette delle sue proprietà hanno un’intitolazione plurima (quattro doppia, due tripla e una quadrupla) e tre di esse, oltre a una con una sola intitolazione, sono “fondi doppi” cioè due fondi con la stessa intitolazione (es. fundos Virianos Calidianos Salvianos duos). In questi casi, che sono i più complessi, si può ricostruire una sequenza in quattro tempi: a) due proprietari possiedono due piccoli fondi vicini, appena sufficienti per la sussistenza di una famiglia, b) un proprietario riunisce la proprietà dei due fondi, c) si instaura una comproprietà dei due fondi (nell’esempio Virius, Calidius e Salvius), d) il “proprietario augusteo” acquisisce la proprietà dei due fondi dai comproprietari.
Nella Tabula troviamo anche parecchi fondi la cui denominazione non è riconducibile a un gentilizio (cfr. Petracco sicarDi, caPriNi 1981, pp. 33-82). In molti casi le terminazioni -am, -as e -is sono spia del fatto che in precedenza erano accordate con silvam, silvas o cum silvis, si trattava dunque originariamente di terreni boschivi, messi poi a cultura. Appartengono a questa tipologia: Asscevam nel Floreio (TAV IV, 80), Buelabras nel Salutare (TAV I, 59), Claris nel Domizio (TAV III, 27), Ebureliam nel Domizio (TAV I, 45 e II, 6), Ibittam nello Statiello (TAV I, 57), Ibocelis nel Domizio (TAV III, 60), Spennellam nel Domizio (TAV III, 58), Taxtanulas nel Dianio (TAV V, 4), Tuppiliam nel Domizio (TAV V, 32), Undigenis nello Statiello (TAV III, 66). Alcuni di quelli il cui nome termina con -um o col neutro plurale -a (che presuppone praedia), possono invece aver derivato il loro nome da quello del vicus in cui si trovavano, come è confermato in tre casi dal testo stesso della Tabula. Appartengono quasi certamente a questa tipologia: Bivelium nel Bagienno (TAV III, 56), Ivanelium nel Bagienno (TAV I, 49 e I, 42 vico Ivanelio), Mettunia nel Salutare (TAV I, 62 e VI, 69 saltus praediaque Mettiae), Nitielium nel Bagienno (TAV III, 35 e I, 44 vico Nitelio), Vembrunium nel Domizio (TAV III, 18), Vlamu(o)nium nel Bagienno (TAV V, 65 e VI, 57). Se ne può dedurre che questi fondi, messi a cultura ex novo o acquisiti da proprietari privati in zone che non erano state toccate dalla colonizzazione romana in età repubblicana, hanno un’origine più recente di quelli che derivano il loro nome da gentilizi e che la nominazione dei fondi ha ripreso ad essere libera dopo il censimento augusteo, utilizzando spesso toponimi d’area preromani.
Il territorio di veleia: pagi e vici
Il territorio veleiate, esteso per circa 1800 Km quadrati e confinante a nord col Piacentino, a ovest col Libarnense, a sud col territorio chiamato Montes e con quello di Lucca, a est col Parmense, a nord-est, per un breve tratto, col territorio di Antium, comprendeva dodici pagi: l’Ambitrebio, il Domizio, il Bagienno, l’Albense, lo Iunonio, il Floreio, il Medutio, il Salutare, il Velleio, lo Statiello, il Dianio e il Valerio, oltre al Salvio (per cui cfr. Petracco 2012, p. 176 e nota 3), che era diviso fra Parma e Veleia. Due di essi, il Domizio e l’Albense, erano molto più grandi degli altri. Ma il testo della Tabula evidenzia anche che una piccola porzione del Floreio apparteneva al territorio di Antium (cfr. Petracco 2012, pp. 178-181), mentre il pago libarnense Moninas sconfinava nella zona di Marsaglia sulla destra del corso dell’Aveto e del Trebbia, che segnavano il confine con Veleia (cfr. Petracco, Petracco sicarDi 2007, pp. 142-149). Allo stesso modo i pagi Sulco, Venerio e Lurate erano prevalentemente piacentini (per il Venerio è dimostrato dai dati della Tabula, mentre per il Sulco e il Lurate l’esiguo numero di proprietà denunciate esclude che potessero essere prevalentemente veleiati) ma, mentre il loro confine con i pagi Domizio e Ambitrebio correva lungo lo spartiacque fra la valle del Trebbia e i bacini del Tidone e della Luretta, quello fra Piacenza e Veleia doveva essere stato fissato un poco più a nord, probabilmente per comprendere dei pascoli, lasciando così in territorio veleiate alcune proprietà situate in quei pagi.
La presenza a Veleia all’inizio del II secolo d.C. di pagi appartenenti a due diversi municipi è stata oggetto nel tempo di un vivace dibattito fra gli studiosi: la cosiddetta “questione del dualismo limitaneo”. In passato vi si è vista la prova che il pago fosse una suddivisione del territorio precedente alla colonizzazione romana (cfr. schulteN 1894, pp. 629-634; De Pachtère 1920, pp. 24-27), giungendo fino a vedervi un’entità “quasi eterna”, alla base anche delle circoscrizioni pievane medievali (formeNtiNi 1929, pp. 62-63). Successivamente, anche sulla base dell’analisi delle denominazioni pagensi (cfr. Petracco sicarDi 1970, pp. 213-215), la discussione è stata ricondotta nell’ambito del periodo della dominazione romana e recentemente vi è stato anche chi si è spinto, interpretando diversamente i passi della Tabula, fino a negare, nella sostanza, l’esistenza del fenomeno (cfr. Santangelo 2006).
Per parte nostra riteniamo invece che i quattro casi in cui la Tavola di Veleia testimonia l’appartenenza di pagi a due diversi territori municipali dimostrino che i pagi esistevano già prima della formazione del municipium di Veleia e che sia questa che le successive modifiche dei confini del municipium non hanno modificato i loro confini. I pagi non erano quindi delle semplici ripartizioni interne del municipium, bensì delle istituzioni autonome caratterizzate da una particolare stabilità, che non era certamente estranea alla loro rilevanza, che troviamo codificata in Ulpiano ed è concretamente testimoniata dalla Tabula, ai fini della identificazione delle proprietà agrarie.
Nel 1967 al III Convegno di Studi Veleiati Giulia Petracco Sicardi nel suo intervento, aveva espresso l’opinione che i vici fossero «i resti di un’organizzazione amministrativa indigena accettati nell’organizzazione territoriale romana del municipium» (Petracco sicarDi 1970, pp. 213-214).
Oggi consideriamo eccessiva questa impostazione e il vicus ci appare piuttosto come una nozione eminentemente geografica, senza valenza amministrativa, designante un ambito locale ristretto e ben riconoscibile, indicato nella Tabula solo occasionalmente, talvolta per sostituire la mancata indicazione degli adfines, altre volte per indicare in quale parte di un pago molto grande si trovasse una proprietà. L’essere toponimi d’area spiega sia il fatto che i nomi dei vici siano generalmente preromani, sia che molti si siano conservati.
Nella Tabula sono solo nove i vici esplicitamente indicati come tali: Flania nell’Ambitrebio, corrispondente, a nostro avviso, alla valle della Dorba, dove si trovano molte altre proprietà di Mommeio Persico; Caturniacus nel Domizio, situato nella valle del Lavaiana, il cui corso fa da confine coll’Albense (cfr. Petracco, Petracco sicarDi 2006, pp. 172-173); Ivanelius e Nitelius nel Bagienno, che danno il nome anche a due fondi; Blondelia, Secenia e Lubelio nell’Albense; Uccia nel Velleio, collocabile attraverso il riconoscimento di Osacca / *silva Ucciaca nell’alta valle del Noveglia; Irvaccus nel settore veleiate del Salvio, sopra Pellegrino Parmense. Ma possono essere considerati vici anche quasi tutti i saltus praediaque dei Coloni Lucenses (e infatti fra di essi vi sono i saltus praediaque Ucciae); Rubacotius e Solicelo (che dà il nome anche a una colonia) nel Domizio, dove si trovavano le proprietà di Sulpicia Priscilla, e molto probabilmente, come abbiamo detto più sopra, Vembrunius nel Domizio e Bivelius e Ulamunius nel Bagienno, dichiarati come fondi, ma a cui, essendo stati acquisiti da proprietari romani solo nel I secolo d.C., deve essere stato dato il nome del vicus in cui si trovavano.
I vici dell’Albense si differenziano dagli altri perchè non corrispondono ad ambiti ristretti, ma alla tripartizione di questo grande pago montano nei tre bacini fluviali in cui si estendeva: il Blondelia alla val Nure, il Secenia alla val d’Aveto e il Lubelio alla val Ceno. E nell’Albense tutti i fondi, di cui la maggior parte di basso valore, come abbiamo visto esaminando la dichiarazione di Marco Antonio Prisco, hanno il nome derivato da gentilizi e quindi risalgono ad una colonizzazione di epoca repubblicana. Si può quindi pensare che il pago sia stato costituito riunendo tre zone distinte ma contermini in cui, probabilmente già nel II secolo a.C., erano state fatte, secondo l’ipotesi di De Pachtère, delle assegnazioni di terre viritim (De Pachtère 1920, p. 58, nota 1).
Al contrario nei pagi Domizio e Bagienno in epoca repubblicana doveva essere ancora ben presente, e forse prevalente, la proprietà indigena. Lo testimoniano sia la quantità di vici, in cui solo nel I secolo d.C. si sarebbero insediati dei fondi romani, sia la presenza nel Domizio dei villaggi di Arelia e Caudali, che ancora al tempo della Tabula conservavano dei propri territori di pascolo.
L’evoluzione della proprietà e dell’economia agraria
Un’analisi del quadro che la Tabula ci offre dell’economia agraria del Veleiate e la ricostruzione del processo evolutivo di cui è il risultato può essere solo, come accennavamo nella premessa, il compito di un’opera organica. In questa sede ci limiteremo quindi a poche brevi osservazioni.
La prima è che l’economia agraria del Veleiate al tempo della Tabula aveva il suo punto di forza soprattutto nell’organizzazione dell’alpeggio estivo delle greggi provenienti dalle pianure poste a nord e a sud dell’Appennino. A questo erano interessati principalmente i Coloni Lucenses e molti dei più ricchi proprietari veleiati (Cornelia Severa, i fratelli Annii, Coelio Vero, Vibio Severo e Afranio Aftoro). Esemplare è soprattutto l’organizzazione di Cornelia Severa, che raccoglie le pecore quasi in ogni pago piacentino, le unisce a quelle che tiene nei suoi ovili in Ambitrebio e le porta ad alpeggiare nel saltus Blaesiola, costituito di due parti, sulla destra e sulla sinistra dell’Aveto, in modo da poter alternare il pascolo, dando il tempo all’erba di ricrescere.
La seconda che vi sono altri grandi proprietari, Mommeio Persico, Maelio Severo, Volumnio Epafrodito, che preferiscono investire delle ricchezze di cui potevano disporre nella creazione di latifondi agricoli, operando con progressivi acquisti mirati. Di questi Mommeio Persico e Maelio Severo (così come i fratelli Annii) appartengono a famiglie che non sono originarie del Veleiate. In particolare sappiamo che i Maelii si erano arricchiti lavorando per più generazioni nella fabbricazione di tegole (cfr. Petracco, Petracco sicarDi 2006, pp. 175-176).
La terza che in tutto il secolo precedente, che le risultanze archeologiche descrivono come il “secolo d’oro” di Veleia, la grande e medio-grande proprietà aveva continuato ad espandersi, sia a spese delle comunità indigene e della piccola proprietà, sia mettendo a coltura le silvae e i terreni alluvionali, sia acquistando la proprietà o la comproprietà di saltus e aumentandone lo sfruttamento pastorale. Questa classe di proprietari era solita ricoprire cariche pubbliche sia a Veleia che a Piacenza e abitare le ville del pedecolle, mantenendo generalmente, anche chi proveniva da fuori, un rapporto diretto col territorio.
Complessivamente non ci sembra che si possa parlare per Veleia al tempo della Tabula di un’economia “in crisi”, anche se l’eccessiva concentrazione della ricchezza poteva essere foriera di rischi per il futuro.
Corrispondenze toponomastiche attendibili
N.B. – Raccogliamo in questo elenco le 72 corrispondenze che riteniamo sicure o molto probabili. Le corrispondenze contrassegnate con # sono ben conosciute in letteratura e, per quanto ci risulta, non contestate. Le corrispondenze contrassegnate con °, sono accompagnate da un rimando a nostri lavori precedenti. A ciascuna delle 14 corrispondenze contrassegnate con *, inedite o poco conosciute, facciamo seguire un breve commento nelle “Note toponomastiche”. Deve intendersi che le ipotesi di corrispondenza non comprese in questo elenco, di cui alcune da noi stessi proposte in passato, sono oggi da noi considerate da escludere o troppo incerte.
- #Ancarano (Rivergaro) – fundus Ancharianus (TAV IV, 42)
- °Areglia (Bobbio) – indirettamente > appenninus Areliascus (TAV V, 21) (Petracco 1965, pp.4-16; Petracco, Petracco Sicardi 2007, pp. 141-142)
- #Azzano (Travo) – fundus Attianus (TAV II, 39)
- #Bedonia (Bedonia) – saltus Bitunia (TAV III, 32, 75); saltus praediaque Bituniae (TAV VI, 60)
- #Berceto (Berceto) – saltus praediaque Berusetis (TAV VI, 66)
- #Bobbiano (Travo) – fundus Vibianus Baebianus (TAV II, 50)
- °Bore e Borassa (canale della -) (Bore) – saltus praediaque Boratiolae (TAV VI, 67) (Petracco, Petracco sicarDi 2005, pp. 290 e 293)
- *Caiano (Vigolzone) – fundus s. saltus Catucianus (TAV III, 6); fundi s. saltus Catusaniani (TAV I, 28)
- #Careno (Pellegrino Parmense) – fundus Carigenus (TAV III, 97)
- °Carozzo (a. 754 vico Carocia; oggi Montebello) (Varsi) – saltus Carucla (TAV VII, 57) (Petracco 2013, pp. 344-345)
- #Cassano (Ponte dell’Olio) – fundus Cassianus (TAV IV, 71, 75)
- °Caudeca (a. 1212) (Borgo Val di Taro) – fundus Caudiacae (TAV VI, 25) (Petracco, Petracco Sicardi 2010, pp. 143-145)
- #Caverzago (Travo) – fundus Cabardiacus (TAV II, 48); Cabardiacus vetus (TAV II, 65-66)
- °Chiulano (Vigolzone) – saltus praediaque Coeliana (TAV VI, 66-67) (Petracco, Petracco Sicardi 2005, pp. 294-296)
- °Coli (Coli) – indirettamente > appenninus Caudalascus (TAV V, 21) (Petracco sicarDi 1965, pp. 4-16; Petracco, Petracco Sicardi 2007, pp. 141-142)
- *Coni (Travo) – fundus Aconianus (TAV IV, 42-43)
- #Corneliano (S. Giorgio Piacentino) – fundus Cornelianus (TAV I, 33); colonia Corneliana (TAV I, 35)
- °Debé (Travo) – fundus Metilianus…cum debelis (TAV IV, 39) (Petracco, Petracco sicarDi 2010, 148-150)
- *Dinavolo (Travo) – saltus praediaque Dinium (TAV VI, 68)
- *Erbia (Bettola) – saltus Helvonus (TAV I, 93-94)
- *Fabbiano (a. 890 Fabiano) (Rivergaro) – fundus Fabianus (TAV IV, 49)
- °Geminiano (di Costa Geminiana) (Bardi) – fundi Geminiani (TAV II, 31) (Petracco, Petracco Sicardi 2010, pp. 145-148)
- #Gragnano (Pellegrino Parmense) – fundus Granianus (TAV VI, 13)
- #Gragnano e Pennino (monte -) (Bettola) – fundi Graniani Afraniani cum appennino Laevia (TAV IV, 5)
- °Ingegna (torrente) (Compiano) – fundus Undigenis (TAV III, 66) (Petracco, Petracco Sicardi 2005, pp. 289 e 296-297)
- #Iustiano (Vigolzone) (XIII sec. Ustiliano) – fundus Hostilianus (TAV I, 11)
- *Labadini (i -) (Varano dé Melegari) – fundi Lubautini (TAV II, 19)
- °Lecca (Bardi) (a. 920 fluvio Leocola) – saltus Leucu(o)melius (TAV III, 73; VII, 38) (Petracco, Petracco Sicardi 2006, pp. 170-171 e 179)
- °Levei (Morfasso) – saltus praediaque Laevelis (TAV VI, 66) (Petracco, Petracco Sicardi 2005, p. 294)
- °Liveglia (Bedonia) – vicus Lubelius (TAV VI, 50) (Petracco, Petracco Sicardi 2006, pp. 170-171 e 179)
- #Lugherzano (Bettola) – fundi Locresiani (TAV VI, 7-8)
- #Luretta (torrente) (Piozzano) – pagus Luras (TAV II, 85; V, 50-52)
- °Madellano (Travo) – fundus Metellianus (TAV II, 41) (Petracco sicarDi 1966, p. 12)
- #Mansano (Vigolzone) – fundus Mancianus (TAV III, 4)
- #Marano (Travo) (IX sec. Mariano) – fundus Marianus (TAV IV, 42)
- #Mariano (Pellegrino Parmense) – fundus Marianus (TAV II, 21)
- °Metteglia (Corte Brugnatella) – fundi Muttienani (TAV IV, 93-94) (Petracco, Petracco Sicardi 2007, pp. 143-144 e 152-153)
- °Metti (Bore) – fundi Mettunia (TAV I, 2); saltus praediaque Mettiae (TAV VI, 69) (Petracco, Petracco Sicardi 2005, pp. 290 e 293)
- #Mignano (Vernasca) – fundus Aminianus (TAV VI, 30)
- #Missano (Travo) – fundus Messianus (TAV II, 54; VII, 51)
- #Missano (Bettola) – fundus Messianus (TAV I, 23; I, 47)
- #Moscolano (rio) (Rivergaro) – fundus Moschianus (TAV V, 67)
- °Mù (monte) (Bore) – fundus Amudis (TAV III, 37) (Petracco, Petracco Sicardi 2005, p. 293)
- *Mulazzana (Carpaneto Piac.) – indirettamente > colonia Munatiana Artefigia (TAV I, 34)
- #Nicelli (Farini d’Olmo) – vicus Nitelius (TAV I, 44); fundus Nitielius (TAV III, 35)
- *Osacca (Bardi) – vicus Ucciae (TAV VI, 20); saltus praediaque Ucciae (TAV VI, 65)
- °Revigozzo (Bettola) – saltus sive fundi Rubacotius (TAV II, 6); saltus Rubacaustos (TAV II, 9) (Petracco, Petracco Sicardi 2006, pp. 173-174 e 180)
- °Ronzone (Lugagnano val d’Arda) (IX sec. Runcioni) – fundus Arruntianus (TAV III, 98-100) (Petracco, Petracco sicarDi 2010, pp. 141-142; Petracco 2012, p. 178)
- #Rossano (Rivergaro) (a. 1178 Rosano) – fundus Rosianus (TAV IV, 42)
- °Scarniago (*ex Caturniaco) (Piozzano) – indirettamente > fundus Caturniacus (TAV V, 52) (Petracco Sicardi 1966, pp. 11-16; Petracco Petracco Sicardi 2006, p. 173, nr. 9)
- *Scrivellano (Travo) (XIII sec. Screvelano) – fundus Scrofulanus (TAV V, 89)
- °Sesegna (a. 1161 Sexegna, oggi Pievetta) (S. Stefano d’Aveto) – vicus Seceniae (TAV I, 7-72; IV,23-32) (Petracco, Petracco Sicardi 2007, pp. 149-150)
- #Sessano (Pellegrino Parmense) – fundi Caesiani (TAV III, 96)
- *Signano (Travo) – fundus Aeschinianus (TAV V, 39)
- #Spanna (Bobbio) – fundus Spennella (TAV III, 58)
- #Stazzano (Travo) – fundus Statianus (TAV II, 44)
- *Tabiano (Lugagnano val d’Arda) – fundus Octavianus (TAV VII, 19)
- °Tasto (il -)/Testanello (Valmozzola) – soci Taxtanulates; fundus Taxtanulae (TAV V, 1-6) (Petracco, Petracco Sicardi 2005, p. 289, nota 9)
- °Torrano (Ponte dell’Olio) – fundi Tauriani duo (TAV VI, 85) (Petracco Sicardi 1982, p. 293)
- #Tosca (Varsi) – fundus Tuscluatus (TAV I, 60)
- #Trapogna (Borgo Val di Taro) – saltus praediaque Tarboniae (TAV VI, 71)
- *Vacchignano (Travo) – fundus Vicanianus (TAV IV, 18)
- °Variano (Morfasso) – fundus Varianus (TAV IV, 49) (Petracco, Petracco Sicardi 2006, p. 176)
- °Varsi (Varsi) – saltus praediaque Varisto (TAV VI, 67) (Petracco 2013, p. 358)
- °Vei (Travo) – fundus Vellius (TAV II, 49) (Petracco Sicardi 1966, p. 14)
- #Velio (a. 943 plebs de -, oggi Serravalle) e Vianino (Varano dé Melegari) – saltus praediaque Velianium (TAV VI, 71) e saltus Velius (TAV VII, 67)
- °Verano (Farini d’Olmo) (a. 1033 in loco et fundo Veriano) – fundus Virianus (TAV V, 18-19)
- *Verano (Podenzano) (a. 830 Viriano) – fundus Virianus (TAV V, 46)
- °Vergnano (pian di -) e Parcellara (pietra -) (Bobbio) – fundus Vorminianus Precele (TAV V, 20-21) (Petracco Sicardi 1965, pp. 4-16)
- *Verogna (Bettola) – fundus Vembrunius (TAV III, 18)
- °Videzzate (Farini d’Olmo) – fundus sive saltus Betutianus (TAV II, 92) (Petracco, Petracco Sicardi 2006, pp. 172-173 e 179)
- #Viserano (Travo) – fundus Vicirianus (TAV V, 8)
Note toponomastiche
Caiano (Vigolzone)
Caiano, località posta sulla sinistra del Nure, a nord di Carmiano, corrisponde alla proprietà, ubicata nel pago Iunonio, denominata fundi sive saltus Nariani Catusaniani (TAV I, 28) o fundus sive saltus Narianus Catucianus (TAV III, 6). Da Catucianus con la caduta della t intervocalica si può arrivare a un *Caciano, ridottosi poi a Caiano. La derivazione linguistica non è immediata, ma la divisione della proprietà fra Virio Nepote (per ¾) e Dellio Proculo (per ¼), che risultano anche confinanti e sono i proprietari rispettivamente del fundus Hostilianus e del fundus Mancianus, riconosciuti con sicurezza in Iustiano e Mansano, e le caratteristiche della zona, molto adatta a essere definita fundus sive saltus, rendono sicura questa corrispondenza.
Coni (Travo)
Coni, frazione di Travo situata sopra la riva destra del Trebbia a sud-ovest di Rallio, continua probabilmente il nome del fundus Aconianus (TAV IV, 42-43), facente parte di un complesso di proprietà di Caio Volumnio Epafrodito, poste in parte nel pago piacentino Vercellense, in parte nel pago Veleiate Ambitrebio. A Coni siamo certamente in Ambitrebio. La derivazione presuppone un *Aconis, prediale nella forma senza suffisso dal gentilizio Aconius, posto all’ablativo plurale con funzione locativa. Si arriva a Coni con la caduta della a iniziale atona.
Dinavolo (Travo)
Dinavolo, è un toponimo d’area che designa sia una piccola frazione di Travo che la zona di spartiacque fra il Trebbia e il Nure, dove doveva correre anche il confine fra i pagi Ambitrebio e Iunonio. Probabilmente continua il nome dei saltus praediaque Dinium dei Coloni Lucenses (TAV VI, 68). Nella zona infatti, al contrario di quella di Pradegna (Petra de Dinia), i Coloni Lucenses erano certamente presenti. Dinavolo deriva anch’esso da Dinia (cfr. Petracco sicarDi, caPriNi 1981), con l’aggiunta del suffisso latino -bulo.
Erbia (Bettola)
Erbia, oggi denominazione del castello, già dei Nicelli, che sbarrava l’accesso all’alta valle del Perino, era, almeno fino al XVI secolo, un toponimo d’area (Herbia). Corrisponde al saltus Helvonus (TAV I, 9394) di Publio Afranio Aftoro, un grande pascolo del valore di 275.000 sesterzi, tutto all’interno del pago Domizio e comprendente probabilmente sia la zona di Pradovera (*prata ovaria) che le pendici occidentali del monte Osero. Erbia / Herbia continua, con la rotacizzazione e il betacismo, un *loca Helvia, prediale nella forma senza suffisso dal gentilizio Helvius, attestato anche nelle varianti Helvacius, Helvidius, Herbacius, Hervinius, Erbonius/Herbonius (cfr. schulze 1966, pp. 357-358).
Fabbiano (Rivergaro)
Fabbiano, attestato come Fabiano in un documento dell’890, è situato a monte di Rivergaro sulla sponda destra del Trebbia. Corrisponde quasi certamente, come già ipotizzato da Dall’Aglio, al fundus Fabianus (TAV IV, 49-50), situato nel pago Vercellense di Piacenza e di proprietà di Volumnio Epafrodito, che aveva quasi tutte le sue proprietà sulla destra del Trebbia, fra Ambitrebio e Vercellense. Il fundus Fabianus, e quindi Fabbiano, doveva trovarsi poco a nord del confine fra Ambitrebio e Vercellense (e fra Veleia e Piacenza), perché ha come confinante Licinia Tertullina, che ritroviamo, sempre nel Vercellense, confinante di Valio Vero nel fundus Vitulianus insieme ai pagani pagi Ambitrebi.
Labadini (Varano de’ Melegari)
Non vi possono essere dubbi sulla derivazione del nome di questa località scomparsa, situata presso Pianelli di Vianino e la cui individuazione è merito delle ricerche archivistiche di Marisa Castelli Zanzucchi, da quello del fundus Lubautini (forse originariamente agri Lubautini) Obsidianus Arrianus (TAV II, 19), situato nel pago Valerio di Veleia, di proprietà di Lucio Sulpicio Vero. Dalla località deve aver preso il nome la famiglia dei Labadini, che nel XVI secolo risultavano essere ricchi possidenti, non residenti, nel vicino territorio di Varsi.
Mulazzana (Carpaneto Piacentino)
Mulazzana, situata sulla sinistra del Riglio quattro chilometri a valle di Corneliano, può derivare per dissimilazione di n in l da Munatiana (come Molassana, presso Genova), ma non può corrispondere alla colonia Munatiana artefigia (TAV I, 34), perché situata in piena pianura in territorio ormai sicuramente piacentino. Tuttavia, scendendo ancora lungo il corso del Riglio, a tre e a sei chilometri a valle di Mulazzana troviamo due identici toponimi “Murazzana”, che possono avere la stessa derivazione. Ne risulterebbe un allineamento lungo il corso del Riglio di tre “colonie Munaziane’” che potrebbe proseguire verso monte con una quarta, quella denunciata nella Tabula, situata tre chilometri a monte di Mulazzana, forse nella località oggi denominata “il Casalino”, a poche centinaia di metri dalla chiesa di Corneliano. La ragione della fondazione di queste “colonie Munaziane” si può forse cercare nell’aggettivo artefigia, che però non troviamo in nessuno dei testi latini a noi pervenuti. Se artefigia potesse derivare col suffisso *-yo- da un tema composto *arte-fig-, il cui secondo elemento sarebbe comune a fingo “modellare con l’argilla”, figulus “vasaio” e figlinae, allora potrebbe trattarsi di luoghi in cui si cavava l’argilla, utilizzandola poi per la produzione di vasellame (Petracco sicarDi 1982, p. 300 e nota 25).
Osacca (Bardi)
è molto probabile che la località di Osacca, nell’alta val Noveglia, continui il nome del vicus Ucciae (TAV VI, 20) e dei saltus praediaque Ucciae (TAV VI, 65) dei Coloni Lucenses. Osacca, in dialetto Uşáca, può infatti derivare, da una *silva Ucciáca, formata dal raro gentilizio Uccius, attestato in area celto-iberica e celto-ligure, + il suffisso celtico -aco. Il nome del vicus e dei saltus praediaque dei Coloni Lucenses riflettono una forma appena diversa, cioè *silvae Ucciae, mentre *Ucciáca doveva essere la forma prevalente nella lingua parlata. Il vicus comprendeva verosimilmente tutta l’alta valle del Noveglia. Da *Ucciáca si arriva ad Uşáca con la sonorizzazione della c e la caduta della i.
Scrivellano (Travo)
Scrivellano, situato a est di Pigazzano, corrisponde probabilmente al fundus Scrofulanus (TAV V, 89) di Cornelia Severa, appartenente al pago Minervio del territorio di Piacenza. L’ipotesi, già avanzata dall’Olivieri su basi eslusivamente linguistiche, è senz’altro valida. Per arrivare da Scrofulanum a Scrivellano la f si sonorizza passando a v e il suffisso -ulo viene sostituito da -ello. Topograficamente Scrivellano può essere già oltre il confine dell’Ambitrebio e anche la rarità del gentilizio parla a favore della corrispondenza.
Signano (Travo)
La località di Signano, posta di fronte a Travo sulla destra del Trebbia, corrisponde quasi certamente al fundus Aeschinianus (TAV V, 39), appartenente al pago Ambitrebio, di proprietà per il 50% di Caio Vibio Severo. Da Aeschinianus si può arrivare a Signano con la scomparsa della vocale atona iniziale e la successiva riduzione di schi- a si-.
Tabiano (Lugagnano Val d’Arda)
La località di Tabiano, situata sulla destra del Chero lungo la via che risale la valle, in una zona che apparteneva quasi certamente al pago piacentino Herclanio, corrisponde molto probabilmente al fundus Octavianus (TAV VII, 19) di Lucio Virio Fusco. Tabiano è infatti in Emilia l’esito normale, testimoniato da molti toponimi, di Octaviano.
Vacchignano (Travo)
Vacchignano, località situata a sud-est di Viserano, può corrispondere al fundus Virianus Vicanianus Mammuleianus (TAV IV, 18), posseduto per metà da Publio Antonio Sabino e appartenente al pago Domizio. L’evoluzione da Vicanianus a Vacchignano è infatti possibile, poiché le vocali atone vengono pronunciate indistinte e spesso mutano. L’analisi degli adfines è molto favorevole a questa ipotesi di corrispondenza.
Verano (Podenzano)
Verano (Viriano nell’830, Veriano nell’874) ha molte probabilità di corrispondere al fundus Virianus (TAV V, 46) di Caio Vibio Severo, situato nel pago Valerio del territorio piacentino. Il fondo ha infatti come confinante Licinia Tertullina, che ritroviamo solo nel Vercellense e nel Cereale. è perciò probabile che le sue proprietà fossero tutte nel territorio di Piacenza, fra Trebbia e Nure, e che il pago Valerio si trovasse in piena pianura a nord di questi due pagi, comprendendo la zona dove sorge Verano.
Verogna (Bettola)
Verogna, piccola frazione di Bettola situata nella media val Perino, continua il nome del fundus Vembrunius Paternus, situato nel pago Domizio, di proprietà di Caio Coelio Vero (TAV III, 18). Vembrunius è un prediale derivato col suffisso -io da una base, forse originariamente antroponimica, *uembruno, che presenta il suffisso -uno (come in Bitunia e Mettunia) e un infisso nasale. La base uebr- è forse celtica, ma documentata anche in area ligure (Petracco sicarDi, caPriNi 1981, pp. 79-80). Un gentilizio *Vembrunius, se fosse esistito, avrebbe qui la sua unica attestazione. Perciò appare più probabile che si tratti di un fondo di colonizzazione recente (post-augustea) che ha preso il nome da quello del vicus in cui era situato, come nei casi sicuri del fundus Nitelius, anch’esso di proprietà di Coelio Vero (TAV III, 35) e del fundus Ivanelius di Tito Naevio Vero (TAV I, 49). Da un *Vembrunia (probabilmente accordato con un neutro plurale, loca o praedia) si arriva, attraverso l’assimilazione della b e la successiva riduzione del nesso mr a r, all’attuale toponimo Verogna.
Bibliografia
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De Pachtère 1920 = F.G. De Pachtère, La Table hypotecaire de Veleia. Etude sur la proprieté foncière dans l’Apennin de Plaisance (Bibliothèque de l’Ecole des Hautes Etudes), Paris 1920.
Di cocco, Viaggi 2003 = I. Di Cocco, D. Viaggi, Dalla scacchiera alla macchia. Il paesaggio agrario veleiate tra centuriazione ed incolto, Bologna 2003.
Formentini 1929 = U. Formentini, Per la storia preromana del pago (pagus-tularu?), in «StEtr» 3, 1929, pp. 51-66. Formentini 1930 = U. Formentini, “Forma Reipublicae Veleiatium”, in «Bollettino Storico Piacentino» XXV, 1930, pp. 3-20.
Petracco 2012 = G. Petracco, La storia più antica di Castell’Arquato da “Antium” ai “Fines Castellana”, in «Archivio Storico per le Provincie Parmensi» (ASPP) LXIII, 2012, pp. 175-181.
Petracco 2013 = G. Petracco, Per una “toponomastica storica” di Varsi, in a. Ghiretti e P. taNzi (a c.), Varsi dalla Preistoria all’Età Moderna, Parma 2013, pp. 340-363.
Petracco, Petracco Sicardi 2005 = G. Petracco, G. Petracco Sicardi, La dichiarazione dei “Coloni Lucenses” nella tavola di Veleia, in «ASPP» LVI, 2005, pp. 283-297.
Petracco, Petracco Sicardi 2006 = G. Petracco, G. Petracco Sicardi, Pago Velleio: pago di Veleia o pago dei Veleiati?, in «ASPP» LVII, 2006, pp. 169-183.
Petracco, Petracco Sicardi 2007 = G. Petracco, G. Petracco Sicardi, Confini romani e altomedievali nelle alte valli del Trebbia e dell’Aveto, in «ASPP» LVIII, 2007, pp. 137-153.
Petracco, Petracco Sicardi 2008 = G. Petracco, G. Petracco Sicardi, Toponimi di confine nelle valli del Taro e del Ceno, in «ASPP» LIX, 2008, pp. 137-144.
Petracco, Petracco Sicardi 2010 = G. Petracco, G. Petracco Sicardi, Nuove ricerche toponomastiche nella montagna veleiate, in «ASPP» LXI, 2010, pp. 139-151.
Petracco Sicardi 1965 = G. Petracco Sicardi, Toponimi Veleiati I: Appenninus Areliascus et Caudalascus, in «Bollettino Ligustico« XVI, 1965, pp. 3-16.
Petracco Sicardi 1966 = G. Petracco Sicardi, Toponimi Veleiati III: Fundus e Vicus Caturniacus, in «Bollettino Ligustico» XVII, 1966, pp. 11-16.
Petracco Sicardi 1970 = G. Petracco Sicardi, Problemi di topografia veleiate, in Atti del III Convegno di Studi Veleiati (Piacenza-Veleia-Parma, 31 maggio-1 giugno 1967), Milano 1970, pp. 207-218.
Petracco Sicardi 1982 = G. Petracco Sicardi, Saltus, praedium e colonia nella Tavola Veleiate, in Studi in onore di Aldo Biscardi, Milano 1982, pp. 289-302.
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