Iscrizioni etrusche: leggerle e capirle 1

Enrico Benelli, Ancona, SACI edizioni, 2007.

1.

La necropoli della Banditaccia, che si estendeva su un pianoro parallelo a quello dove sorgeva l’antica città di Caere, a nord dell’area urbana, era una delle due principali aree sepolcrali ceriti; l’altra, quella di Monte Abatone, si trovava in posizione simmetrica sul pianoro a sud della città. Grazie alle campagne di scavo condotte a più riprese e soprattutto all’intensa opera di restauro finalizzata all’apertura al pubblico, questa necropoli è oggi l’unica almeno in parte visitabile, che permette tra l’altro di cogliere anche l’organizzazione planimetrica dei grandi monumenti funerari, con tutti i mutamenti che vi si sono verificati nel corso dei secoli. Dal punto di vista archeologico è certamente anche la necropoli indagata più in profondità, in particolare nel settore destinato ad essere aperto al pubblico, denominato “Zona del Recinto”, proprio per la costruzione della recinzione a protezione dell’insieme monumentale. Uno dei fenomeni che segnano in modo più evidente la storia di questa necropoli è l’introduzione, nel corso del VI secolo a.C., delle tombe dette “a dado”, alle quali si è già accennato nel paragrafo introduttivo: in un primo momento isolate o a piccoli blocchi, queste strutture – che grazie alla loro forma quadrangolare possono essere giustapposte fra loro, a differenza dei più antichi tumuli circolari – vengono ben presto organizzate lungo vie rettilinee. Fra le tombe a dado della “Zona del Recinto” si segnala un blocco di due strutture gemelle (335 e 336) inserite in un unico dado, entrambe tricamerali, con atrio trasversale e due camere sul fondo: si tratta del tipo planimetrico più antico tra quelli utilizzati in connessione con i dadi, erede del tipo con atrio trasversale e tre camere sul fondo della tarda età orientalizzante, che ricalca la planimetria tipica della casa etrusca dell’epoca. Del corredo di queste due tombe non fu rinvenuto praticamente nulla; i materiali di cronologia molto varia fanno pensare a un saccheggio già in epoca abbastanza antica. La loro costruzione è attribuita su base tipologica alla seconda metà del VI o al massimo all’inizio del V secolo a.C.; le deposizioni dovrebbero essersi succedute per qualche generazione. Nella tomba 336 (quella di sinistra) fu rinvenuta, ancora nella sua posizione originaria, incastrata fra i blocchi che chiudevano l’accesso, una defixio iscritta in latino che i personaggi che vi sono nominati indurrebbero a datare alla seconda metà del II secolo a.C.; questo dovrebbe indicare che la tomba, in quel momento, doveva essere stata definitivamente sigillata. La tomba 335 si segnala per l’insolita presenza di due iscrizioni incise sulle pareti interne; un frammento di vaso iscritto (ET Cr 2.111) fu rinvenuto anche nella terra di riempimento, ma la pertinenza al corredo è ovviamente incerta, viste le condizioni della struttura. Fra i rari confronti per la presenza di iscrizioni all’interno di camere, tutti cronologicamente posteriori, (a parte l’eccezionale Tomba delle Iscrizioni) possono citarsi CIE 6180 = ET Cr 1.145, la tomba 4 di Via delle Serpi (CIE 6183-6185 = ET Cr 1.146-148), la tomba dei Sucu (CIE 6206-6211 = ET Cr 1.152-155 e 0.29-30) e la celebre tomba dei Clavtie (cfr. scheda 5).

3. CIE 6064 = ET Cr 1.100
Cippo di peperino a forma di casetta rinvenuto all’interno della tomba 164, una delle tredici tombe a singola camera pressoché identiche fra loro allineate a sinistra della via principale che taglia la necropoli della Banditaccia. Il cippo è tuttora conservato all’interno della camera. Queste tombe, come altri apprestamenti analoghi rinvenuti in diverse zone della necropoli, rappresentano l’ultima grande fase costruttiva della Banditaccia, che si manifesta con la realizzazione di un gran numero di sepolture di apparato relativamente modesto, con una sola camera (sia pure di discrete dimensioni), strutturata in modo da poter accogliere un elevato numero di deposizioni; queste tombe sono di solito allineate in serie anche molto numerose, hanno brevi dromoi e facciata rupestre, e rappresentano l’estrema evoluzione del tipo a dado. Anche se la facciata era apparentemente non lavorata, negli spazi risparmiati fra i dromoi trovavano alloggio le lastre portacippi, destinate ad accogliere i cippi che segnalavano le deposizioni contenute nelle camere. Purtroppo, la collocazione particolarmente esposta delle strutture di questo tipo ha fatto sì che venissero largamente saccheggiate, tanto che non si sono mai rinvenuti in posto né i cippi, né le lastre destinate a contenerli. In alcuni casi, come in quello qui trattato, i cippi erano stati rigettati anche all’interno delle camere. La tomba 164 mostrava, oltre alla banchina per le deposizioni, una profonda fossa, di un tipo noto anche in altre tombe, che, secondo l’interpretazione degli scavatori, doveva servire da ossario per la riduzione dei defunti più antichi, in modo da prolungare l’uso della camera funeraria. Al suo interno, oltre a questo cippo, furono rinvenuti alcuni resti molto frammentari del corredo, e un secondo cippo, maschile, in macco, conservato solo parzialmente, e recante l’iscrizione CIE 6065 = ET Cr 1.101. L’iscrizione corre su uno spiovente:

ramθa · sucui · marces · seχ
La grafia è simile a quella già attestata dalle iscrizioni precedenti. Il testo restituisce una regolare formula onomastica femminile, con prenome, gentilizio e filiazione, espressa dal prenome del padre al genitivo seguito dall’appellativo seχ (= “figlia”). La redazione per esteso di questi ultimi due elementi indica una cronologia non posteriore al III secolo; per quanto riguarda invece il prenome della defunta, va ricordato che i prenomi femminili a Cerveteri non sono praticamente mai abbreviati, al contrario di quelli maschili, e quindi la loro resa in esteso non dà indicazioni cronologiche. Il gentilizio Sucu (femminile Sucui) è, in questa forma, esclusivo di Cerveteri; la famiglia dovrebbe essere titolare di una tomba rinvenuta da scavi clandestini nel 1967 nella zona “della Tegola dipinta” e provvista di iscrizioni sulle pareti; il tipo architettonico molto simile e gli scarsi resti del corredo ne indicano un uso pressoché coevo alla tomba 164. Una iscrizione vascolare (cfr. scheda 93) indica il legame di questa famiglia con i poco attestati Lapicane, che diedero a Cerveteri almeno un magistrato. Non si può escludere che la forma Sucu sia la grafia ceretana del più noto gentilizio Zuχu, attestato già in età arcaica da una iscrizione funeraria di Orvieto (ET Vs 1.136 = CIE 5037), e poi da una di possesso da Corchiano (ET Fa 2.15 = CIE 8382); successivamente, in avanzata età recente, da più testimonianze dell’area chiusina, e da una di Perugia.
BIBLIOGRAFIA: sulla tomba 164: RICCI 1955, cc. 614-616; sulla tomba dei Sucu: Studi Etruschi 36, 1968, pp. 221-224. Sulla iscrizione etrusca di Corchiano COLONNA 1990, p. 120.