I pagi veleiati e piacentini nella bassa Val Trebbia e nelle valli della Luretta e del Tidone
di Giorgio Petracco

Premessa

La zona della bassa val Trebbia intorno a Travo è al tempo stesso quella in cui, con l’eccezione di alcune aree, si è maggiormente conservata la toponomastica romana e quella in cui si concentra, in gran parte nel pago Ambitrebio, quasi un terzo del valore agricolo dichiarato nella Tabula. Presenta quindi le migliori condizioni per cercare di ricostruire la collocazione sul territorio dei patrimoni dei grandi e medi proprietari romani all’inizio del II secolo d.C. e farsi un’idea delle loro caratteristiche, della loro formazione e del loro sfruttamento economico.

Metodologia della ricostruzione

Qualsiasi analisi riguardante i toponimi attuali e i nomi delle proprietà denunciate nella Tabula deve partire dal fatto che i nomi dei fondi sono stati attribuiti nel terzo censimento augusteo del 14 d.C., quindi un secolo prima della redazione della Tabula, quando, come riporta Dione Cassio, furono censiti tutti i fondi d’Italia. I nomi attribuiti allora ai fondi, che sono alla base sia delle denominazioni che troviamo nella Tabula1 che dei toponimi attuali, non furono però quelli dei proprietari del tempo del censimento, bensì quelli, ricavati dagli atti d’acquisto, di coloro da cui essi, o i familiari di cui erano eredi, avevano acquistato la proprietà: questo criterio consentì nel caso di proprietari di più fondi di dare dei nomi diversi alle singole proprietà.2 I gentilizi ricavabili dai nomi dei fondi dichiarati nella Tavola di Veleia e dai toponimi giunti fino a noi sono quindi quelli di proprietari precedenti al 14 d.C. e fra loro non necessariamente contemporanei, giacché l’ultimo passaggio di proprietà può essere avvenuto pochi o molti anni prima del censimento. Ne consegue che non è possibile confrontare l’assetto proprietario di inizio II secolo d.C., quale risulta dalla Tabula, con quello di un secolo prima, giacché i nomi e la consistenza del patrimonio fondiario dei proprietari dell’epoca di Augusto sono destinati a rimanerci sconosciuti.

1 Con l’eccezione ovviamente delle terre messe a coltura o sottratte alle comunità indigene durante il primo secolo dopo Cristo.
2 Per la dimostrazione dell’adozione di questo criterio si veda Giorgio Petracco e Giulia Petracco Sicardi, Struttura delle dichiarazioni ed evoluzione del territorio e della proprietà fondiaria nella Tavola di Veleia, in Atti del IV Convegno internazionale di Studi Veleiati, Veleia-Lugagnano Val d’Arda, 20-21 settembre 2013, Bologna, 2014, pp. 251-254.

I nomi dei fondi denunciati nella Tabula possono invece fornirci degli indizi su quella che doveva essere la situazione intorno alla metà del I secolo a.C., quando era passato un secolo dall’inizio della colonizzazione. Queste considerazioni sono fondamentali per chiunque voglia tentare una ricostruzione storico/topografica attraverso il confronto fra reperti archeologici databili e il testo della Tabula.3 La comune origine dai nomi attribuiti ai fondi nel 14 d.C. rende certamente possibile, sia pure con i criteri e le cautele che illustrerò di seguito, un confronto fra i toponimi prediali ancor oggi in uso o storicamente attestati e le denominazioni delle proprietà denunciate nella Tabula, tendente a individuare possibili corrispondenze e quindi l’ubicazione sul territorio dei patrimoni fondiari dei proprietari denuncianti. Va detto anzitutto che fra i toponimi attuali o storicamente attestati non vanno presi in considerazione come possibili continuatori di prediali romani solo quelli con suffisso –ano o –aco, giacché il prediale romano può essersi fissato nell’uso anche in una forma senza suffisso in cui è presente solo il gentilizio, oppure nella forma all’ablativo plurale in –is con valore locativo. In molti casi la corrispondenza del toponimo al gentilizio che sta alla sua origine non è immediatamente evidente, perché la denominazione originaria si è accorciata (ad es. per la caduta della vocale iniziale, per la caduta di una consonante in posizione intervocalica seguita dalla fusione delle due vocali o ancora per la riduzione di un nesso consonantico). Per la ricostruzione della forma originaria del toponimo è importante acquisirne sia la pronuncia dialettale che le forme storiche. L’aver accertato la coincidenza del gentilizio alla base di un toponimo attuale con quello alla base del nome di un fondo denunciato nella Tabula non dà di per sé alcuna certezza di averne individuato l’ubicazione. Abbiamo visto infatti come i gentilizi alla base dei nomi dei fondi denunciati nella Tabula siano, mediamente, quelli di proprietari del I secolo a.C., ma anche allora, pur se in una misura molto minore di quella che riscontriamo nella Tabula, alcune famiglie possedevano un patrimonio costituito da diversi fondi distribuiti in un’area che poteva essere più o meno vasta ed essere compresa in un solo pago, come anche in due o più pagi vicini. Neanche trovarsi di fronte a un gentilizio raro può quindi costituire un criterio sufficiente per ipotizzare con un certo grado di probabilità una corrispondenza: lo sarà piuttosto la rarità del gentilizio nell’area presa in considerazione.

3 Si veda ad esempio la mia ricostruzione dell’evoluzione dell’attività e del patrimonio della famiglia dei Maelii, che nella Tabula, quindi all’inizio del secondo secolo d.C., risultano essere dei proprietari fondiari medio-grandi nel pago Medutio, mentre degli embrici bollati ce li segnalano, in tempi più antichi e in zone diverse, come fabbricanti di tegole. Il fatto che nessun fondo denunciato nella Tabula derivi dal loro gentilizio dimostra che essi provenivano da fuori del territorio veleiate e che per un lungo periodo si limitarono all’attività di fabbricanti di tegole, senza acquisire proprietà fondiarie (Giorgio Petracco e Giulia Petracco Sicardi, Pago Velleio: pago di Veleia o pago dei Veleiati?, in «Archivio Storico per le Province Parmensi», LVII, 2006, pp. 175-176).

Va anche tenuto in conto che non tutti gli attuali toponimi riconoscibili come prediali romani corrispondono a un fondo denunciato nella Tabula. In essa infatti hanno potuto impegnare i loro fondi solo i proprietari con un patrimonio di almeno 50.000 sesterzi e quindi non vi figurano i fondi dei piccoli proprietari. Inoltre anche fra i medi e grandi proprietari del Veleiate vi è chi, come ad es. Licinio Catone, non figura nella Tabula se non come confinante, probabilmente perché aveva impegnato il proprio patrimonio in un altro municipio. Se poi consideriamo la zona oggetto di questo studio, essa si trova nell’angolo nord-occidentale del territorio veleiate, per cui molti dei proprietari del pago Ambitrebio possedevano fondi anche nei pagi piacentini contermini, dove ovviamente avevano delle terre anche dei proprietari medio-grandi che avevano denunciato il loro patrimonio a Piacenza. Per riuscire ad ottenere una ricostruzione attendibile il confronto fra toponimi attuali e denominazioni della Tabula va quindi integrato con la considerazione della struttura delle dichiarazioni, in particolare con l’indicazione degli adfines. Questa metodologia consente di individuare con una forte probabilità, talvolta con certezza, il luogo in cui si trovavano alcune proprietà denunciate nella Tabula. E queste identificazioni sicure o altamente probabili contribuiscono a loro volta a confermare od escludere altre corrispondenze linguisticamente possibili fra toponimi attuali e denominazioni della Tabula.4

4 Un ottimo esempio di come questa metodologia permetta di individuare delle corrispondenze impossibili da comprendere colla sola analisi linguistica è la scoperta che Caiano, località sulla sinistra del Nure per cui erano state fatte in precedenza altre ipotesi, continua la proprietà del pago Iunonio dichiarata dai suoi comproprietari come fundi sive saltus Nariani Catusaniani e fundus sive saltus Narianus Catucianus. In questo caso la contrazione della denominazione originaria era troppo pronunciata per essere ricostruita a partire dal toponimo Caiano, ma la circostanza che i due comproprietari, Virio Nepote e Dellio Proculo, erano indicati anche come adfines ed erano i proprietari uno del fundus Hostilianus, l’altro del Mancianus, riconoscibili nei vicini Iustiano e Mansano, e le caratteristiche della zona di Caiano, molto adatta ad essere definita fundus sive saltus, hanno reso sicura la corrispondenza e permesso di ricostruire l’evoluzione linguistica (Petracco e Petracco Sicardi, Struttura delle dichiarazioni…, cit., p. 261 s.v. Caiano). Si osservi, ai fini di questo studio, come l’individuazione della posizione nel territorio di questi tre fondi abbia permesso di attribuire la sinistra del Nure al pago Iunonio e quindi di situare il confine fra Ambitrebio e Iunonio sullo spartiacque fra Trebbia e Nure.

I proprietari e i loro patrimoni fondiari

Come ho anticipato nella premessa, la mia ricostruzione partirà dall’analisi dei patrimoni fondiari e solo successivamente passerò a considerare il territorio e i confi ni dei vari pagi e il confi ne fra il municipio di Veleia e quello di Piacenza. Di seguito tratterò i sei proprietari che hanno impegnato nella Tabula fondi situati nel pago Ambitrebio: M. Mommeio Persico, Cornelia Severa, C. Volumnio Epafrodito, C. Vibio Severo, C. Volumnio Memore e L. Lucilio Collino; due altri proprietari che hanno impegnato fondi nel pago Vercellense del territorio di Piacenza ma non in Ambitrebio:
C. Coelio Vero e T. Valio Vero; e i Coloni Lucenses, che erano presenti sullo spartiacque fra Trebbia e Nure, dove correva il confi ne fra Ambitrebio e Iunonio.

Marcus Mommeius Persicus

Mommeio Persico ha impegnato proprietà per 60.000 sesterzi nella Praescriptio Vetus e per ben 1.160.000 nella Praescriptio recens: si tratta quindi di un grande proprietario di censo senatorio. Del valore fondiario denunciato, 980.000 sesterzi, circa l’80% del totale, si riferiscono a proprietà situate nel pago Ambitrebio e la quasi totalità a proprietà situate nella zona oggetto di questo studio (oltre che in Ambitrebio, in territorio veleiate nei pagi Sulco e Lurate e in territorio piacentino nei pagi Venerio e Vercellense). Dall’analisi di questo patrimonio emerge che i tre quarti di tutte le proprietà di Mommeio, per un valore di circa 850.000 sesterzi erano collocate nella valle della Dorba e nell’area di Travo, territorio in cui erano assolutamente prevalenti, configurando di fatto la formazione di un latifondo agricolo. La dichiarazione di Mommeio Persico comincia con una lista di fondi (Attianus, Albianus, Furianus, Metellianus, Mucianus Vettianus), singolarmente di non grande valore, denunciati insieme per complessivi 56.000 sesterzi e situati in diversi punti del pago Ambitrebio. Il fundus Attianus, e di conseguenza il confinante Albianus, potevano situarsi nell’area di Azzano, a nord-ovest di Travo.5 È molto dubbio, ma non impossibile,6 che il fundus Furianus, posseduto solo per un quarto e il cui gentilizio si ripete in un altro fondo, anch’esso di proprietà di Mommeio, situato nel vicino pago piacentino Venerio, corrisponda a Fiorano, situato sopra la riva sinistra del Trebbia subito a valle del monte Pillerone. Il Metellianus, di cui Mommeio possedeva i due terzi e che ha lo stesso gentilizio di Metellio Firmino, proprietario non dichiarante in Ambitrebio, è probabilmente riconoscibile nell’odierno Madellano, situato nell’alta valle della Dorba. Per il Mucianus Vettianus, di cui Mommeio è proprietario per metà, non disponiamo di possibili corrispondenze toponomastiche, ma, sulla base della coincidenza dei confinanti Virio Severo e Minicia Polla, se ne può ipotizzare la collocazione in un’area dove avevano delle proprietà Vibio Severo e Lucilio Collino, da individuare nel settore del pago sulla destra del Trebbia di fronte a Travo.7

5 Si consideri però che il prediale ha alla base un gentilizio molto frequente e, soprattutto, quanto dirò più avanti sul saltus Attianus.
6 Fiorano parrebbe l’esito di un *Floriano, dal gentilizio Florius, che però non ha riscontri nella Tabula. La derivazione da Furianus dovrebbe potersi basare su una diversa pronuncia dialettale e/o su forme storiche coerenti con questa ipotesi. Le maggiori perplessità sul riconoscimento derivano comunque dalla frequenza del prediale congiunta alla mancanza dell’indicazione dei confinanti e dall’incertezza se l’area in cui sorge Fiorano appartenga ancora all’Ambitrebio.
7 È stato ipotizzato che Mucianus sia stato scritto per errore al posto di Minicianus e che si tratti quindi dello stesso fundus Minicianus Vettianus di proprietà per metà di Lucilio Collino. È stato pure ipotizzato che il Virio Severo che risulta confinante in entrambe le dichiarazioni, e nell’Olympianus nella dichiarazione di Mommeio, sia in realtà Vibio Severo (cfr. I. Di Cocco e D. Viaggi, Dalla Scacchiera alla Macchia, Ante Quem, Bologna, 2003, Studi e Scavi 2 NS, p. 40 n. 50). Entrambe le ipotesi, se fossero vere, non contrasterebbero con la mia ricostruzione della disposizione delle proprietà nel territorio del pago Ambitrebio. Si tratta comunque di ipotesi non verificabili, per cui non ne terrò conto nel mio studio.

Le altre proprietà di Mommeio Persico in Ambitrebio vengono dichiarate con una successione ordinata che partendo dal fundus Statianus arriva al fundus Cabardiacus vetus, la singola proprietà di maggior valore di Mommeio, dichiarato per ben 210.000 sesterzi. Il fundus Statianus cum colonia Gentiana, del valore di 40.000 sesterzi, che ha come confi nanti Licinio Catone e Vibio Severo, corrisponde quasi certamente a Stazzano, sulla destra del Trebbia, davanti a Caverzago. Segue la citazione di due fondi di cui Mommeio Persico è proprietario per metà: il Lereianus e l’Aestinianus Antistianus Cabardiacus. Questi due fondi, che hanno come unico confinante la Respublica Placentinorum e di cui non conosciamo il proprietario dell’altra metà, sono stati dichiarati da Mommeio per complessivi 67.000 sesterzi. Il prediale Cabardiacus, non altrimenti attestato nella Tabula, si ritrova nel toponimo del paese di Caverzago e nel nome del santuario di Minerva Medica Cabardiacensis, di cui le ricerche archeologiche non sono ancora riuscite a individuare l’esatta ubicazione. La presenza di una proprietà della Respublica Placentinorum, che troviamo confi nante anche del fundus Cabardiacus vetus e non altrove, è sicuramente da collegarsi alla presenza del santuario, se anzi non si tratta, cosa che ritengo probabile, dell’area stessa in cui sorgeva il santuario. La zona sulla destra della Dorba, in cui si trova Caverzago, non è adatta ad ospitare un fondo del valore del Cabardiacus vetus, tanto più se si considera che di questo fondo sono indicati altri due confi nanti, Caio Volumnio Memore, proprietario dichiarante e Salvo Metellio Firmino, non dichiarante. Non lontano dal Cabardiacus vetus era certamente situato anche il fundus Olympianus, di proprietà per metà di Mommeio Persico, che lo dichiara per 26.000 sesterzi, e per l’altra metà di Lucilio Collino: i confi nanti sono infatti gli stessi Caio Volumnio Memore e Salvio Metellio Firmino, che avranno avuto le loro proprietà in una posizione intermedia fra i due fondi di Mommeio, oltre a Virio Severo e Licinio Firmino. Il Cabardiacus vetus doveva quindi essere situato sulla sinistra del corso della Dorba, in prossimità della confl uenza nel Trebbia, mentre l’Olympianus doveva trovarsi nell’area oggi occupata da Travo: in queste aree i terreni si presentano con le caratteristiche adatte ad ospitare fondi agricoli di grande valore. Il santuario di Minerva Medica doveva sorgere non lontano dalla confluenza della Dorba nel Trebbia, sulla destra o sulla sinistra del torrente, mentre è da ritenere che nell’area di Caverzago si situassero il Lereianus e l’Aestinianus Antistianus Cabardiacus. Vicino a Caverzago Mommeio Persico possedeva il fundus Vellius, del notevole valore di 56.000 sesterzi, riconoscibile nel piccolo nucleo abitato di Vei. Il prediale, che già nella Tabula non aggiunge un suffisso al raro gentilizio Vellius, deve essere transitato nella forma all’ablativo plurale con valore locativo *Velliis, contrattosi poi nell’attuale Vei. Nel fundus Vellius viene indicato come unico confinante Marco Baebio, un piccolo proprietario non dichiarante, il cui gentilizio ritorna in un altro fondo di Mommeio Persico, il Vibianus Baebianus, del valore di 50.000 sesterzi, che può corrispondere all’attuale Bobbiano, situato nell’alta valle della Dorba.8 In Ambitrebio Mommeio Persico possedeva anche per metà il saltus Attianus unito al fundus Flavianus Vipponianus e, per tre ottavi, il fundus Messianus, dichiarando per la propria parte di questo complesso fondiario un valore di 77.500 sesterzi e come confinanti Cornelia Severa e il grande proprietario non dichiarante Licinio Catone. La parte rimanente doveva appartenere a Caio Vibio Severo, che infatti nella praescriptio vetus, di alcuni anni precedente alla dichiarazione di Mommeio, aveva impegnato il saltus Attinava cum fundo Flaviano Messiano Vipponiano, indicando come confi nante il padre di Cornelia Severa, che a quel tempo doveva essere ancora in vita. L’indicazione come confinante di Cornelia Severa, che come vedremo doveva avere delle importanti proprietà a nord di Travo nel bacino del Guardarabbia, rende sicura l’identifi cazione del fundus Messianus in Missano e del saltus Attianus/Attinava nella costa boscosa che da Azzano, che ne potrebbe conservare il nome,9 sale fino a Missano. Un’altra piccola proprietà in Ambitrebio era il fundus Licinianus, di cui Mommeio possedeva la metà per un valore dichiarato di ottomila sesterzi: non ci sono elementi per stabilire in che parte del pago si trovasse. Completa le proprietà di Mommeio Persico in Ambitrebio un gruppo di otto fondi (Castricianus, Calventianus, Calidianus, Gallianus, Murrianus, Ligusticus, Ennianus, Valerianus) e di un piccolo saltus (il Canianus), dichiarati in sequenza per un valore complessivo di ben 388.000 sesterzi, tutti situati nel vico Flania. L’indicazione del vico, che troviamo solo in questo caso nella dichiarazione di Mommeio Persico (e in generale nelle dichiarazioni di proprietà nel pago Ambitrebio), sembra sostituire l’indicazione precisa dei confi nanti, per cui ci si limita alla formula adfi nibus se ipso et aliis. Questa anomalia mi fa ritenere che questo elenco di fondi sia stato copiato da un unico atto di acquisto di un patrimonio già consistente e compatto, costituito, o ereditato, dal proprietario che l’ha poi venduto a Mommeio. Finora non si sono trovate corrispondenze dei nomi di questi fondi e del nome del vico con dei toponimi attuali o storicamente attestati nel territorio che apparteneva al pago Ambitrebio:10 di conseguenza si è finora rinunciato ad ubicare il vico Flania.

8 La frequenza con cui ricorrono nella Tabula, sia nei nomi dei proprietari dichiaranti e dei confinanti che in quelli dei fondi dichiarati, i gentilizi Vibius e Baebius, sicuro indizio dell’antichità dell’insediamento di queste famiglie nel Veleiate, suggerisce prudenza nel considerare sicura la corrispondenza di Bobbiano col fondo di Mommeio. Le attestazioni più antiche di Bobbiano (a.873 Bibiano, a.972 curtem de Bubiano) sono compatibili con la derivazione sia da Vibiano (attraverso il betacismo b/v) che da Baebiano ed escludono invece che il toponimo si spieghi con l’essere stato Bobbiano un possedimento dell’abbazia di Bobbio.
9 Questa ipotesi è alternativa alla corrispondenza con il fundus Attianus, anch’esso di proprietà di Mommeio, cui ho già accennato più sopra. Ma in entrambi i casi è certo che nel I secolo a.C. sia la costa che il fondo ai suoi piedi erano stati di proprietà della famiglia degli Attii.
10 Questa situazione va tuttavia considerata provvisoria, mancando ancora un’esplorazione approfondita dei Catasti Farnesiani e dei documenti medioevali della zona oggetto di questo studio.

Va però considerato che, giacché l’indicazione del vico, al contrario di quella del pago e degli adfines, non era richiesta per l’identificazione di un fondo, nulla impedisce di pensare che si collocassero nel vico Flania anche molte altre proprietà di Mommeio in Ambitrebio, la cui ubicazione nella valle della Dorba, come abbiamo visto, è sicura o molto probabile, e che quindi il vico Flania corrispondesse alla valle della Dorba. Questa ipotesi può trovare una conferma nell’etimologia di Flania, che non deriva da un gentilizio romano, ma è una forma preromana11 con alla base la radice *flan-, che ritroviamo nel nome di Flanona, oggi Fianona, antico insediamento dei Liburni in Istria. La radice *flan- è ricondotta dal Walde a una base indoeuropea *plei-, col significato originario di ‘fendere’ ‘spaccare’.12 Questo significato si attaglia perfettamente a Flanona (da flan + -ona), ubicata all’apice di un profondo fi ordo, quindi di una ‘fenditura’, ma *flan- può avere avuto anche il significato di ‘solco vallivo’ e quindi il nome del vico Flania può derivare dall’essere costituito dalla valle della Dorba.13 Al di fuori dell’Ambitrebio Mommeio Persico possedeva il saltus Nevidunus,14 situato in territorio veleiate nel pago Sulco, non altrimenti attestato nella Tabula. Il saltus Nevidunus, dichiarato già nella Praescriptio vetus per un valore di 70.000 sesterzi (che avrebbe potuto essere anche maggiore se fosse stato dichiarato nella Praescriptio recens), aveva come confinante Licinio Catone. Se si individua la motivazione che aveva spinto Mommeio ad acquisire il saltus Nevidunus nella possibilità di gestire in modo indipendente dai proprietari dei grandi saltus del Veleiate l’alpeggio estivo delle proprie greggi, allora la sua collocazione più probabile appare la testata della valle del Tidoncello, dove si trovano ottimi pascoli ad un’altezza intorno agli 800 metri. Tale area, evidentemente di interesse anche per Licinio Catone, è facilmente raggiungibile dalla valle della Dorba, dove si concentrava la gran parte delle proprietà di Mommeio. Si può allora ipotizzare che il pago Sulco occupasse la valle del Tidoncello, con la parte superiore, fi no all’altezza di Pecorara, appartenente al territorio di Veleia e quella inferiore al territorio di Piacenza.

11 Giulia Petracco Sicardi esclude un’origine ligure o celtica (cfr. Giulia Petracco Sicardi e Rita Caprini, Toponomastica storica della Liguria, Genova, Sagep, 1981, p. 51 s.v. Flania). Si potrebbe invece pensare ad una forma venetica o illirica, diffusa dagli Etruschi in un’area ampia.
12 Cfr. A. Walde, Vergleichendes Wörterbuch der Indogermanischen Sprachen, Berlin-Leipzig 1927, vol. II, p. 684.
13 A Flania e Flanona si può avvicinare anche Fianema, frazione di Cesio maggiore, nella zona di Feltre, situata nel punto in cui si riuniscono i rami sorgentizi del rio Caorame. La forma originaria deve essere stata *Flaniema, da *flan + -iema, suffisso preromano che ritroviamo in due toponimi della Tavola di Polcevera e aveva una funzione di collettivo generico (cfr. Giulia Petracco Sicardi, Ricerche topografi che e linguistiche sulla Tavola di Polcevera, «Studi Genuensi», II, 1959, pp. 24-26). *Flaniema può quindi essere interpretato come ‘il luogo dei solchi vallivi’, il luogo cioè da cui essi si dipartono.
14 Per la denominazione del saltus, che si ripete in forma simile, ma non identica, nel nome del pago piacentino Noviodunus, Giulia Petracco Sicardi ipotizza un’origine celto-ligure (Petracco Sicardi e Caprini, op. cit., p. 65 s.v. Neuidunus).

 E il nome del pago, costituito da un ‘solco vallivo’, appare essere la traduzione in latino, mantenendo lo stesso significato, del nome del vico Flania. Mommeio possedeva inoltre un sesto del fundus Blassianus, appartenente al pago Lurate del territorio di Velleia, che corrisponde all’attuale Lassano, situato nel territorio compreso fra i due rami sorgentizi del torrente Luretta. Da Blassianus si arriva a Lassano con la riduzione a l del nesso bl e la corrispondenza è rafforzata dalla rarità del gentilizio Blassius.15 Nel territorio oggetto di questo studio Mommeio possedeva dei fondi anche in due pagi piacentini: il Venerio e il Vercellense. Nel Venerio, che come vedremo si doveva estendere sui due lati della Luretta a valle della confl uenza dei suoi due rami sorgentizi, possedeva sei fondi (l’Atilianus, metà del Clennanus, il Granisius Furianus Munatianus, che ha come confi nante Licinio Catone, il Cinnianus, metà del Bittianus e il Caninianus) per un valore totale di 83.000 sesterzi. Allo stato attuale della ricerca l’unica corrispondenza ipotizzabile (con prudenza, considerando la frequenza del gentilizio nelle denominazioni fondiarie del piacentino/veleiate) è quella del fundus Caninianus con Montecanino, situato due chilometri a nord-ovest di Piozzano. Nel toponimo attuale il prediale si presenta nella forma senza suffi sso, con l’aggiunta di ‘monte’, che ritroviamo in molti altri casi e che non ha il signifi cato di ‘cima montuosa’, bensì di ‘area più elevata del territorio circostante’. Nel pago Vercellense, che occupava la sponda destra del Trebbia a valle dell’Ambitrebio, Mommeio possedeva due fondi: l’importante fundus Satrianus, del valore di 56.000 sesterzi, e il piccolo Vennuleianus. Neanche di questi due fondi è stato possibile trovare corrispondenza in toponimi attuali o storicamente attestati. Nel Satrianus risulta confi nante Publio Atilio Saturnino, che ritroviamo come confinante di Vibio Severo nei fondi Antonianus e Caturniacus, situati sul confine fra i pagi Venerio e Lurate. Atilio Saturnino dichiara nella Tabula un solo fondo situato nel pago Iunonio per un valore di 50.000 sesterzi, cioè il minimo consentito. Bisogna perciò ritenere che egli abbia evitato di denunciare le altre sue proprietà, a meno che le abbia denunciate a Piacenza.

Cornelia Severa

Oltre alle proprietà situate nel territorio oggetto di questo studio, di un valore totale di 630.000 sesterzi, Cornelia Severa possedeva anche il grande saltus Blaesiola, situato sui due lati dell’Aveto a cavallo del confine fra Libarna e Veleia, già denunciato da suo padre nella praescriptio vetus per un valore di 350.000 sesterzi16.

15 Questa corrispondenza è proposta qui da me per la prima volta, così come quella del fundus Caninianus con Montecanino.
16 Per l’ubicazione del saltus Blaesiola sui due lati dell’Aveto e l’utilizzo alternato dei pascoli, che permetteva all’erba di ricrescere anche in presenza di grandi greggi, cfr. Giorgio Petracco e Giulia Petracco Sicardi, Confini romani e altomedievali nelle alte valli del Trebbia e dell’Aveto, «Archivio Storico per le Province Parmensi», LVIII, 2007, pp. 143-148.

Inoltre una proprietà nel pago Bagienno e una nel Domitio del territorio veleiate, nonché altre tredici proprietà situate in otto pagi piacentini e in un pago parmense. Complessivamente il valore del patrimonio di Cornelia Severa ammontava a un milione e mezzo di sesterzi. Cornelia Severa era una grande proprietaria, ancora più ricca di Mommeio Persico, ma la sua strategia non era orientata alla formazione di un latifondo agricolo, bensì all’allevamento ovino, organizzando l’alpeggio estivo in altura nel saltus Blaesiola sia di proprie pecore, che teneva negli ovilia in Ambitrebio, sia di pecore di altri proprietari, alla cui raccolta appare funzionale il disporre di singole proprietà in molti pagi piacentini. Cornelia Severa possedeva in Ambitrebio un gruppo di fondi situati tutti nella stessa zona (condividono infatti i confinanti). Fra essi il fundus Covaniae et ovilia, del valore di ben 200.000 sesterzi, valore dovuto forse soprattutto alla presenza degli ovilia: doveva essere qui che Cornelia teneva le pecore di sua proprietà. Vi erano poi i fundi Olliani Pomponiani Sulpiciani Covaniae Veconianus, del valore di 88.000 sesterzi, il fundus Bettonianus, del valore di 32.500 sesterzi, e il fundus Protianus, del valore di 48.000 sesterzi. In Covaniae, dal raro gentilizio Covius, il femminile plurale si spiega con l’essere state in origine delle silvae poi convertite alla coltivazione. Questo gruppo di fondi, del valore complessivo di quasi 370.000 sesterzi, era situato nell’area fra i due rii Guardarabbia, ad un’altezza media di 400 metri. Allo stato della ricerca non sono state individuate corrispondenze fra i loro nomi e la toponomastica attuale, ma la loro posizione è sicura, giacché i confi nanti indicati sono Mommeio Persico e Vibio Severo che, come abbiamo visto, sono i comproprietari del saltus Attianus coi fondi annessi, identifi cato nello spartiacque boscoso fra la valle della Dorba e l’area dei Guardarabbia e indicano come confi nante in questa loro proprietà comune proprio Cornelia Severa. Due importanti fondi di Cornelia Severa, lo Scrofulanus e il Succonianus, del valore complessivo di 180.000 sesterzi, erano situati nel pago Minervio del territorio di Piacenza. In questo caso la loro posizione sulla sinistra del Trebbia, in quel pedecolle piacentino che era zona d’insediamento privilegiato delle ville romane, è segnalata dalla corrispondenza dello Scrofulanus con Scrivellano.17 Per arrivare a Scrivellano da Scrofulanus, che non ha alla base un gentilizio, bensì il cognomen Scrofa, la f si sonorizza passando a v e il suffisso –ulo viene sostituito da –ello. Scrivellano è facilmente raggiungibile dall’area dei fondi di Cornelia Severa in Ambitrebio, da cui dista non più di tre chilometri. Un terzo gruppo di proprietà di Cornelia Severa nell’area oggetto di questo studio, di valore molto minore, complessivamente meno di 80.000 sesterzi, era situato sulla destra del Trebbia nel pago Vercellense e marginalmente nell’Ambitrebio: in questa zona Cornelia viene indicata come confinante da Volumnio Epafrodito. Uno di questi fondi era il fundus Moschianus, dal raro gentilizio Moschius, situato nel Vercellense, del valore di 48.000 sesterzi e confi nante con una proprietà di Publio Albio Secondo. Esso può essere riconosciuto nel nome di un piccolo rivo situato poco a sud di Ancarano, il rio Moscolano. *Mosculanus è infatti una variante di Moschianus con l’aggiunta del suffisso –ulo, così come Scrofulanus lo è di *Scrofanus.18 Di questo gruppo facevano parte anche il fundus Scaevianus, di cui Cornelia era proprietaria per metà, situato a cavallo del confine fra il Vercellense e l’Ambitrebio, e, in Vercellense, le piccole silvae Castricianae et Picianae.19

17 Allo stesso pago Minervio doveva appartenere anche la vicina località di Visignano, dove è stata rinvenuta la stele funeraria dei Coelii.
18 E infatti in Italia sono segnalati dei fondi Scrofanus e Scrofianus (W. Schulze, Zur Geschichte Lateinischer Eigennamen, Berlin-Zurich-Dublin, Weidmann 1966, p. 370).
19 Per le silvae Castricianae et Picianae, sulla base della comune derivazione dal gentilizio Castricius, è stata ipotizzata in passato prima la corrispondenza con Casturzano, in comune di San Giorgio Piacentino, poi quella con l’altro Casturzano in comune di Pianello Val Tidone. In entrambi i casi si dovrebbe accettare una dimensione abnorme del pago Vercellense, che dall’area sulla destra del Trebbia a valle dell’Ambitrebio, dove è attestato con sicurezza, si estenderebbe nel primo caso fi no ad un’area situata in piena pianura oltre il corso del Nure, nel secondo fi no alla val Tidone, comprendendo, per una necessaria continuità, sia la sponda sinistra del Trebbia, occupata dal pago Minervio, che la valle della Luretta, dove si situano i pagi Lurate e Venerio. Si ha qui un’esemplificazione evidente del principio per cui non si può ipotizzare una corrispondenza sulla sola base della comunanza del gentilizio, soprattutto se, come in questo caso, è assai diffuso nell’area in esame. Infatti, oltre alle silvae e ai due attuali Casturzano, nella Tabula troviamo un altro fundus Castricianus nel vico Flania dell’Ambitrebio, quindi nella valle della Dorba, e sono citati un Castricius Secundus, procuratore di P. Atilio Saturnino, proprietario dello Iunonio, e Castricius Nepos, proprietario confinante nel pago Vercellense in due diversi fondi di Volumnio Epafrodito. Inoltre la gens Castricia è citata a Piacenza nell’85 a.C., quindi in quel primo secolo a.C. alla cui struttura proprietaria fanno riferimento le denominazioni dei fondi.

Caius Volumnius Epaphroditus

Volumnio Epafrodito è un proprietario medio-grande, che impegna nella Tabula un patrimonio fondiario del valore di quasi 420.000 sesterzi, concentrato sulla sponda destra del Trebbia, in parte nel pago Vercellense del territorio piacentino e in parte nel pago Ambitrebio. La sua strategia, tendente alla formazione di un latifondo, appare analoga, in una scala minore, a quella di Mommeio Persico. La prima proprietà denunciata nella dichiarazione di Volumnio Epafrodito è il fundus Metilianus Lucilianus Anneianus cum casis et silvis et meridibus et debelis del valore di 50.000 sesterzi. L’ubicazione è nel pago Ambitrebio e vengono indicati ben quattro confinanti (la regola ne chiederebbe due), fra cui Cornelia Severa, Vibio Severo e Lucilio Collino. Tutti e tre questi proprietari hanno dei fondi in Ambitrebio sulla destra del Trebbia, ma, mentre Cornelia Severa ha le sue proprietà vicino al confine con il Vercellense, gli altri due le hanno nella zona di fronte a Travo. È quindi da ritenere che si tratti di una proprietà composta da più fondi non contermini acquistati con un unico atto dal precedente proprietario. È possibile che il fondo prossimo al confine con il Vercellense fosse l’Anneianus e che la successiva dichiarazione del fundus Anneianus cum casa et praedis Valerianis pro parte dimidia, del valore di 27.500 sesterzi, situato in parte in Ambitrebio e in parte nel Vercellense, si riferisca al completamento con un altro acquisto della proprietà dell’Anneianus. Le specificazioni “cum casis et silvis et meridibus et debelis” e “cum casa et praedis Valerianis” erano probabilmente contenute già negli atti d’acquisto e dovevano riferirsi ad aggregazioni intervenute successivamente rispetto alla consistenza originaria dei fondi. Fra le espressioni usate rivestono particolare interesse meridibus e debelis, che ritornano anche altrove nel testo della Tabula.20 Meride, meridibus sono forme all’ablativo singolare e plurale di un termine agricolo, che non troviamo altrove in testi latini, ma che fra il I sec. a.C. e il II d.C. doveva essere di uso comune, considerata la relativa frequenza con cui è riportato nella Tabula. Allo stato della ricerca ci è ancora ignoto quale sia il significato specifico del termine, al di là di una traduzione generica come ‘appezzamento’, e la sua etimologia. Con l’espressione cum debelis21 si dovevano intendere settori di bosco basso messi a cultura bruciando la vegetazione spontanea. In molti casi deve essere avvenuto il passaggio da nome comune a nome proprio con la formazione di un toponimo Debelis, per cui non sorprende di trovare dei continuatori nella toponomastica odierna. Sulla destra del Trebbia, a 370 m. di altezza poco sotto Dinavolo, vi è un piccolo gruppo di case chiamato Debé che può continuare i debelis annessi al fundus Metilianus Lucilianus. Da Debelis si può arrivare a Debé con la scomparsa della l intervocalica attraverso la forma intermedia *Debéi. La dichiarazione di Volumnio Epafrodito prosegue con un gruppo di fondi, verosimilmente anch’essi acquistati con un unico atto dal precedente proprietario, situati in parte in Ambitrebio e in parte nel Vercellense. Si tratta del fundus Alfi a Munatianus Ancharianus e dei fondi Paspidianus, Rosianus, Marianus, Aconianus e Tarquitianus, nonché di case in Carricino, delle silvae Sagatae e degli agri Nasulliani. Insieme al fundus Caecilianus, situato nel Vercellense, sono dichiarati per complessivi 250.000 sesterzi e costituiscono più di metà del patrimonio di Volumnio Epafrodito. Per il gruppo di fondi vengono dichiarati come confi nanti Cornelia Severa, Lucilio Collino e Olia Calliope, mentre fra i confinanti del Caecilianus ritroviamo Olia Calliope insieme a Castricio Nepote. Almeno tre di questi fondi hanno delle corrispondenze sicure nella toponomastica attuale. Il fundus Ancharianus continua nell’attuale Ancarano (Ancariano in un Privilegium di Berengario I dell’888 d.C.), situato un chilometro a levante di Pieve Dugliara, dove terminano le coste selvose e comincia la piena pianura e la centuriazione. La corrispondenza è rafforzata dal fatto che nel documento dell’888 Ancarano è citato insieme ad una località Alfi ano che può essere il continuatore di Alfia (che in origine doveva essere una *silva Alfia).

20 TAV II, 14: “fundum … cum meride”; TAV III, 2, 8: “fundum … cum meridibus”; TAV VI, 86: “… cum meridibus omnibus et alluvionibus, iunctis praedis supra scriptis”; TAV VI, 97: “fundum … cum meridibus”; TAV VII, 15: “fundum Philetianum cum meride Vicriana”; TAV III, 73 e VII, 37: saltum sive fundos Avegam Veccium Debelis e saltus Avegam Veccium Debelos.
21 Per Giulia Petracco Sicardi da un tema di origine ligure *debelo passato nel lessico latino, che ha dato origine alla voce di area appenninica settentrionale debbio (Petracco Sicardi e Caprini, op. cit., p. 47 alla voce Debelis).

Il fundus Ancharianus doveva quindi situarsi al limite meridionale del pago Vercellense, a cui certamente apparteneva. Il fundus Rosianus è riconoscibile, anche per la rarità del prediale che non ha altri riscontri nella Tabula, nella località di Rossano, situata nella zona di Rallio, sulla destra del Trebbia, dove si doveva essere ancora nel pago Ambitrebio. È citata come Rosano in un documento del 1178, in cui il vescovo di Piacenza ne attribuisce le decime al rettore della chiesa di Raglio (oggi Rallio). Coni, frazione di Travo situata sopra la riva destra del Trebbia a sud-ovest di Rallio, continua invece il nome del fundus Aconianus. A Coni siamo certamente in Ambitrebio. La derivazione presuppone un *Aconis, prediale nella forma senza suffisso dal gentilizio Aconius, non altrimenti attestato nella Tabula, posto all’ablativo plurale con funzione locativa. Si arriva a Coni con la caduta della a iniziale atona. È stata proposta anche la corrispondenza del fundus Marianus con Marano (Mariano in documenti dell’VIII secolo), situato sulla sinistra del Trebbia a meno di mezzo chilometro da Fiorano, che, come abbiamo visto, potrebbe forse continuare il fundus Furianus di Mommeio Persico. La grande frequenza, anche nella toponomastica attuale, di prediali derivati dal gentilizio Marius e la mancanza nella Tabula di un’indicazione di confinanti che possa collegare il fundus Marianus al Furianus rendono però alquanto incerta questa ipotesi di corrispondenza. Volumnio Epafrodito possedeva altri due fondi situati entrambi in territorio piacentino nel pago Vercellense: il Paternus22 del valore di 32.000 sesterzi, con confinante Castricio Nepote, e il Fabianus del valore di 24.000 sesterzi, con confi nanti Licinia Tertullina e Publio Albio Secondo. Il Fabianus corrisponde quasi certamente a Fabbiano (attestato come Fabiano in un documento dell’890), situato a monte di Rivergaro sulla sponda destra del Trebbia.23 Il fundus Fabianus doveva trovarsi poco a nord del confi ne fra Ambitrebio e Vercellense, anche perché ha come confinante Licinia Tertullina, che ritroviamo, sempre nel Vercellense, confi nante di Valio Vero nel fundus Vitulianus insieme ai pagani pagi Ambitrebi.

Caius Vibius Severus

Vibio Severo è un grande proprietario che denuncia nella Tabula, in parte già nella Praescriptio vetus, un patrimonio fondiario del valore di oltre 730.000 sesterzi. Nella zona di interesse di questo studio possedeva fondi per un valore di oltre 400.000 sesterzi, di cui solo 130.000 per fondi situati nell’Ambitrebio. Al di fuori della zona oggetto di questo studio possedeva una proprietà nel pago Medutio (alta valle dell’Arda) del valore di oltre 300.000 sesterzi, comprendente insieme a dei fondi il grande saltus Ulila, per cui va certamente annoverato fra i proprietari coinvolti nella gestione dell’alpeggio estivo delle greggi di pecore, e un fondo di valore limitato nel pago Domitio.

22 I frequenti prediali Paternus, Maternus corrispondono a fondi per cui nel censimento augusteo in cui sono stati dati i nomi ai fondi il proprietario alla domanda: “da chi è stato acquistato il fondo?” ha risposto: “è sempre stato della famiglia di mio padre (o di mia madre)”. Per un approfondimento, cfr. Petracco e Petracco Sicardi, Struttura delle dichiarazioni… nella Tavola di Veleia, cit., pp. 252-253.
23 Come già ipotizzato da Dall’Aglio, mentre la Di Cocco pensava a una corrispondenza col Fabbiano in val Tidone.

Nell’Ambitrebio Vibio Severo ha denunciato per 45.000 sesterzi la sua metà del fundus Aeschinianus. Si tratta di un fondo di grande valore e importanza, il cui nome si continua nella località di Signano, posta di fronte a Travo sulla destra del Trebbia. Da Aeschinianus si arriva a Signano con la scomparsa della vocale atona iniziale ae e la riduzione di schi a si. La posizione sulla destra del Trebbia spiega sia i confinanti indicati per l’Aeschinianus (Lucilio Collino e Minicia Polla), sia l’indicazione di Vibio Severo come confinante nel fundus Statianus di Mommeio Persico, nel Minicianus di Lucilio Collino e nel Metilianus Lucilianus di Volumnio Epafrodito. Sulla sinistra del Trebbia Vibio Severo possedeva i fondi Aurelianus e Coelianus, impegnati già nella Praescriptio vetus, per un valore di 30.000 sesterzi, che potrebbe essere una sottovalutazione. L’indicazione di Volumnio Memore come confinante colloca questi fondi nella zona di Travo. Sempre nella Praescriptio vetus è stato impegnato per altri 30.000 sesterzi il saltus Attinava cum fundo Flaviano Messiano Vipponiano indicando come confinante Cornelia Severa. Si tratta della stessa proprietà, corrispondente a Missano e alla costa boscosa che fa da spartiacque fra i bacini della Dorba e del Guardarabbia, di cui si dichiara proprietario per metà nella Praescriptio recens Mommeio Persico, valutandola 75.000 sesterzi. È quindi evidente una sottovalutazione nella dichiarazione di Vibio Severo nella Praescriptio vetus, tanto più nel caso in cui in quel tempo fosse stato l’unico proprietario. Nella Praescriptio recens Vibio Severo ha dichiarato il fundus Coilianus (che contiene nel nome, come il Coelianus, il gentilizio della famiglia dei Coelii) per un valore di 26.000 sesterzi. Come unico confi nante è indicato Licinio Firmino, proprietario non dichiarante che ritroviamo come confi nante nel fundus Olympianus di Mommeio Persico e Lucio Collino: è probabile quindi che anche il Coilianus si trovasse nella zona di Travo. Esiste però anche un’altra ipotesi, anche se a mio avviso meno probabile. Vibio Severo possedeva infatti nel pago Venerio il fundus Cornelianus, del valore di 40.000 sesterzi, avendo anche qui come confinante Licinio Firmino ed è possibile che ci fosse un tratto di confine comune fra Ambitrebio e Venerio sullo spartiacque fra i bacini di Luretta e Guardarabbia: una proprietà di Licinio Firmino poteva quindi essere situata nell’area dello spartiacque, che è adatta all’insediamento di un fondo, confi nando con due proprietà di Vibio Severo, il Coilianus in Ambitrebio e il Cornelianus in Venerio. Vibio Severo possedeva anche due fondi situati sul confine fra i pagi Venerio e Lurate:24 l’Antonianus del valore di 12.000 sesterzi e il Caturniacus che ne valeva più di 41.000. I due fondi, dichiarati in sequenza, sono certamente vicini e hanno come confinanti Atilio Saturnino, Publio Atilio Auditore e la proprietà pubblica, che in questo caso interpreterei come una via publica,25 dato che essa è uno degli elementi del territorio su cui più facilmente correvano i confini.

24 Il testo della Tabula cita come municipio di appartenenza solo Veleia e non anche Piacenza. Esistono dei casi provati in cui i confini di pago e di municipio non coincidevano, tuttavia qui sarei più propenso a pensare ad un’imprecisione.
25 È questa l’interpretazione che dà sempre Criniti al termine populo, frequente nella Tabula nelle elencazioni dei confi nanti. Non escludo che abbia ragione, anche se potrebbero
esserci altri tipi di ‘proprietà pubblica’.

Nel nostro caso ritengo che i due fondi si estendessero su entrambi i lati della via pubblica e che essa dividesse il pago Venerio dal Lurate. Finora l’attenzione degli studiosi si è concentrata sul fundus Caturniacus, a partire da uno studio di mia madre del 1966, in cui ella ha riconosciuto nel toponimo di Scarniago, piccolo nucleo abitato nella valle della Dorba, sotto al monte Bogo, vicino sia a quello che al tempo della Tabula era il confine dell’Ambitrebio con il pago Domitio, sia allo spartiacque con l’alta valle della Luretta, la derivazione da un *ex Caturniaco.26 Se l’ipotesi di derivazione rimane valida, è però caduta la possibilità che Scarniago si trovasse in prossimità del vicus Caturniacus del pago Domitio, la cui ubicazione è stata riconosciuta con sicurezza nella valle del Lavaiana, dove erano ubicati, sul lato del torrente appartenente al pago Albense, anche tre fundi Caturniani.27 Scarniago potrebbe invece rifl ettere nel suo nome, come già ipotizzato da mia madre, la vicinanza con un fundus Caturniacus situato a 650 m. di altezza nell’area oggi denominata Case Sanese, nella vallecola di un ramo sorgentizio della Luretta. Ma può trattarsi del fondo di Vibio Severo? Oggi sono propenso a rispondere negativamente, giacché l’area di Case Sanese non appare adatta ad ospitare un fondo di notevole valore e non vi si riesce a scorgere un possibile percorso della via publica su cui correva il confine fra i pagi Lurate e Venerio; d’altra parte il raro gentilizio Caturnius, è attestato nella Tabula da quattro fondi e un vico, e quindi l’esistenza di un altro fondo non dichiarato è certamente plausibile. Penso invece che l’Antonianus28 sia riconoscibile nella località di Antugnano, situata a 376 m. di quota lungo il percorso di una mulattiera che dalla confluenza fra i due rami della Luretta (che è anche zona di guadi) sale fi no a incontrare lo spartiacque fra i bacini della Luretta e del Trebbia. Poco sopra Antugnano, lungo la stessa mulattiera, vi è un’area adatta ad ospitare un fondo di notevole valore, e qui si poteva situare il Caturniacus. È significativo trovare non lontano da questa possibile ubicazione del fundus Caturniacus due toponimi, Bissago e Valenzago, che continuano altri due prediali con suffisso –aco. Lungo la mulattiera doveva correre il confine fra i pagi Lurate e Venerio: questa posizione del confine è coerente con il riconoscimento di due fondi di Mommeio Persico, il Blassianus, appartenente al Lurate, in Lassano e il Caninianus, appartenente al Venerio, in Montecanino.

26 Si veda G. Petracco Sicardi, Toponimi Veleiati III. Fundus e vicus Caturniacus, in «Quaderni Ligustici», 138, 1-2, 1965 pp. 11-16.
27 Si veda Petracco e Petracco Sicardi, Pago Velleio, cit., pp. 172-173.
28 Il gentilizio Antonius è molto frequente nella Tabula, sia fra i nomi dei proprietari che nelle denominazioni dei fondi, ma non nella zona del nostro studio, dove è testimoniato solo dal fundus Antonianus di Caio Vibio.

Un ulteriore importante gruppo di fondi di Vibio Severo era situato nel pago Valerio del territorio piacentino. Questi fondi, il Virianus e lo Statianus, entrambi del valore di 72.000 sesterzi, e il Tresianus, dichiarato per 37.000, avevano tutti come confinanti Licinia Tertullina e Vibio Favore. Vi sono buone probabilità, non certo la sicurezza, che il fundus Virianus corrisponda a Verano (Viriano nell’830, Veriano nell’874), nucleo abitato situato a sud-ovest di Podenzano. Il fondo ha infatti come confi nante la stessa Licinia Tertullina che ritroviamo nei pagi Vercellense e Cereale (quest’ultimo quasi certamente corrispondente all’area di Vigolzone, sulla sinistra del Nure). È perciò probabile che le sue proprietà fossero tutte nel territorio di Piacenza, fra Trebbia e Nure, e che il pago Valerio si trovasse in piena pianura29 a nord di questi due pagi, comprendendo la zona dove sorge Verano.

Caius Volumnius Memor et Volumnia Alce

Questi due proprietari, denunciano nella Tabula solo il “fundum Quintiacum Aurelianum, collem Muletatem cum silvis”, situato nel pago Ambitrebio, del valore di 108.000 sesterzi, che ha come confi nante Mommeio Persico. Volumnio Memore a sua volta è citato come confinante da Mommeio nel Cabardiacus Vetus, dallo stesso Mommeio e da Lucilio Collino, comproprietari, nell’Olympianus e da Vibio Severo nei fondi Aurelianus e Coelianus. Finora non è stata trovata nessuna corrispondenza con toponimi attuali o storicamente attestati, ma l’esame degli adfines situa la proprietà di Volumnio Memore nell’area intermedia fra la foce della Dorba e il paese di Travo. Quanto al collem Muletatem, potrebbe essere stato in origine un *collis in Muletate e Muletate la denominazione toponimica di un’area caratterizzata dal colore rossiccio (dal latino mulleus ‘di colore rosso’) del terreno o, meno facilmente, della vegetazione.30

Lucius Lucilius Collinus

Lucilio Collino è un proprietario medio-piccolo che ha impegnato nella Tabula fondi per un valore di settantaseimila sesterzi, tutti situati nel pago Ambitrebio. Sulla sinistra del Trebbia possedeva metà del fundus Olympianus (l’altra metà era di Mommeio Persico), che, come abbiamo visto, era situato nell’area di Travo, avendo come confi nanti Volumnio Memore, Salvio Metelio Firmino e Licinio Firmino. Sulla destra del Trebbia Lucilio Collino era proprietario di metà del fundus Minicianus Vettianus, avendo come confi nanti Mommeio Persico e Virio Severo, e di un terzo del fundus Minicianus cum silvis Herennianis, con confinanti lo stesso Mommeio Persico e Vibio Severo. Lucilio Collino è confinante di Vibio Severo nell’Aeschinianus, che abbiamo visto corrispondere a Signano. Risulta quindi un gruppo di fondi fra loro contermini, comprendente anche il Mucianus Vettianus di Mommeio Persico, concentrati nella zona del pago alla destra del Trebbia di fronte a Travo.31 Sempre sulla destra del Trebbia, ma più a valle, Lucilio Collino possedeva il fundus Passennianus, per cui ha indicato come confi nante Volumnio Epafrodito, che a sua volta lo indica come confinante nelle sue proprietà.

29 Il valore di 72.000 sesterzi, che si ripete identico in due fondi e quasi dimezzato nel terzo, potrebbe essere quello del quadrato della centuriazione.
30 Cfr. Petracco Sicardi e Caprini, op. cit., p. 64 s.v. Muletatem.
31 Questi fondi condividono la caratteristica di essere posseduti solo parzialmente dai dichiaranti, per cui è da ritenere che, se non tutte, la maggior parte delle porzioni non dichiarate appartenessero a Minicia Polla e Virio Severo.

Caius Coelius Verus

Celio Vero è un grande proprietario di censo senatorio, che ha denunciato proprietà per 150.000 sesterzi nella Praescriptio vetus e 844.000 nella Praescriptio recens. Le sue proprietà sono distribuite in tutto il territorio veleiate e in alcuni pagi piacentini, ma consistono soprattutto di alcuni grandi saltus nel settore meridionale del territorio veleiate, di cui è comproprietario insieme agli Anni fratres e ai Coloni Lucenses. Nella zona oggetto di questo studio ha dichiarato proprietà solo nel pago piacentino Vercellense, ma vi sono due fondi dell’Ambitrebio sulla sinistra del Trebbia e una proprietà dei Coloni Lucenses situata nell’area dello spartiacque fra Trebbia e Nure che hanno alla base del loro nome il suo gentilizio. Inoltre una stele funeraria della sua famiglia è stata ritrovata a Visignano, presso Statto, nel territorio che apparteneva al pago Minervio. È quindi da ritenere che questa zona, pur non essendo più alla base del potere economico della famiglia all’inizio del secondo secolo d.C., sia stata quella del suo primo insediamento nel Veleiate. Nel pago Vercellense Celio Vero possedeva il fundus Baebianus Flavianus, nonché tre quarti del fundus Calidianus Epicandrianus Lospistus Valerianus Cumallia e del fundus Caerellianus Gumallan, per un valore totale di circa 110.000 sesterzi. Dall’esame degli adfi nes emerge la mancanza di ogni contatto con gli altri proprietari che hanno dichiarato dei fondi situati nel pago Vercellense. Fra i confi nanti troviamo invece due proprietari, Virio Nepote e Maelio Severo che avevano fondi nel pago Iunonio. In particolare due proprietà di Virio Nepote, il fundus Manlianus Hostilianus e i saltus sive fundi Nariani Catusaniani, in cui Celio Vero risulta confi nante, sono state riconosciute con sicurezza in Iustiano e Caiano, per cui si deve dedurre che le proprietà di Celio Vero erano situate nel settore sud-orientale del pago Vercellense, dove nell’area intorno a Castelvecchio confinava con il pago Iunonio.

Titus Valius Verus

Valio Vero fa parte del gruppo di tre medi proprietari caratterizzati dall’impegnare i propri fondi a Veleia pur avendo delle proprietà solo in territorio piacentino, anche se in pagi confinanti col territorio veleiate. Le loro dichiarazioni, fatte direttamente, senza intermediari, seguono quella dei Coloni Lucenses e sono le ultime della Tabula, sicché si deve ritenere che la loro scelta di impegnare i fondi a Veleia sia stata funzionale al raggiungimento dell’obiettivo assegnato dall’imperatore al municipio veleiate. Valio Vero aveva le sue proprietà, valutate, dedotto il vectigal, in 247.000 sesterzi, in tre pagi che si dipartivano a raggera dal confine fra Piacenza e Veleia: da ovest a est il Vercellense, che fa parte della zona oggetto di questo studio, il Cereale e il Sinnense, situati sulla sinistra e sulla destra del Nure.32 Nel pago Vercellense Valio Vero possedeva il fundus Caninianus, del valore di 40.000 sesterzi, e il grande fundus Vitulianus, del valore di 80.000 sesterzi, in cui aveva come confi nanti Licinia Tertullina e i pagani pagi Ambitrebi. Il fundus Vitulianus doveva quindi essere prossimo al confine con l’Ambitrebio, tanto più che l’altra confinante, Licinia Tertullina, lo era anche nel fundus Fabianus di Volumnio Epafrodito, riconoscibile in Fabbiano, situato nell’area di confine fra i due pagi.33

Coloni Lucenses

I Coloni Lucenses, verosimilmente dei proprietari terrieri dell’Alta Lunigiana, al tempo appartenente al municipio di Lucca, avevano acquisito con il patrocinio della Respublica Lucensium delle ampie proprietà, consistenti soprattutto in grandi saltus, nel settore sud-orientale del territorio veleiate.34 I pascoli di cui potevano disporre erano certamente utilizzati anzitutto per l’alpeggio estivo delle loro greggi, ma la loro dimensione gli doveva permettere anche di mettersi in concorrenza con i grandi proprietari del Veleiate per gestire l’alpeggio delle greggi del Piacentino. Non stupisce perciò che le loro proprietà disegnassero anche un percorso che dalle valli del Taro e del Ceno arrivava fi no alla pianura Padana. L’ultimo tratto di questo itinerario correva lungo lo spartiacque fra Trebbia e Nure, dove esso faceva da confine fra l’Ambitrebio e lo Iunonio. Nella loro dichiarazione i Coloni Lucenses non indicano mai né il pago, né i confinanti delle loro proprietà e neanche dei precisi prediali ricavati dagli atti d’acquisto, ma soltanto i nomi delle zone in cui esse si situavano preceduti dalla formula saltus praediaque, traducibile come ‘le aree coltivate (praedia) e non coltivate (saltus)’. Le singole proprietà potevano poi consistere effettivamente sia di saltus che di fondi, ma anche di un solo saltus o di uno o più fondi. Di conseguenza per situare sul territorio le proprietà dei Coloni Lucenses si può contare solo sulla sopravvivenza nella toponomastica attuale delle denominazioni d’area riportate nella Tabula e sulle dichiarazioni di altri proprietari in cui essi sono indicati come confinanti. Nella zona oggetto di questo studio si possono riconoscere nell’area dello spartiacque fra Trebbia e Nure sia i saltus praediaque Coeliana che i saltus praediaque Dinium. I saltus praediaque Coeliana sono gli unici nella cui denominazione si può conoscere, accordato al neutro plurale di praedia, un prediale da gentilizio: è quindi assai probabile che consistessero solo di un *fundus Coelianus, che si può riconoscere in Chiulano, situato a 526 m. di quota poco sotto lo spartiacque dalla parte della val Nure, in un’area che doveva appartenere al pago Iunonio.35

32 Nel Sinnense i fundi Tauriani di Valio Vero sono probabilmente riconoscibili in Torrano.
33 Anche per il fundus Vitulianus, sulla base della coincidenza del gentilizio, ma in aperto contrasto con la citazione dei pagani pagis Ambitrebi, è stata proposta una corrispondenza in val Tidone con Vidiano (a. 1025 Vidiliano). Contro l’ipotesi di un ‘Mega Vercellense’ (per cui cfr. Di Cocco, Viaggi, op. cit., pp. 34-39) valgono tutte le considerazioni già fatte.
34 Per un approfondimento sui Coloni Lucenses si veda Giorgio Petracco e Giulia Petracco Sicardi, La dichiarazione dei ‘Coloni Lucenses’ nella tavola di Veleia, «Archivio Storico per le Province Parmensi», vol. LVI, 2005, pp. 283-297.
35 Per il passaggio da Coelianus a Chiulano si vedano le note toponomastiche di mia madre in Petracco e Petracco Sicardi, La dichiarazione dei Coloni Lucenses, cit., pp. 295-296.

I saltus praediaque Dinium continuano invece nel toponimo d’area Dinavolo, che designa sia una piccola frazione di Travo che la zona di spartiacque fra Trebbia e Nure. Dinavolo deriva da una base *dinia36 con l’aggiunta del suffisso latino –bulo. In questo caso si trattava certamente di un saltus, o più precisamente di un appenninus, che occupava tutta l’area di costa, in ogni caso di una zona dedicata al pascolo, come conferma il toponimo Mandrola. La presenza dei Coloni Lucenses in questa zona è confermata dall’esser indicati come confinanti nel grande fundus Afranianus Mancianus Bittelus Arruntianus di proprietà di Dellio Proculo, che lo dichiara per un valore di 155.000 sesterzi. Il fondo, o aggregazione di fondi, situato nel pago Iunonio, è stato
riconosciuto con sicurezza in Mansano e aveva certamente una grande dimensione, per cui l’indicazione dei Coloni Lucenses come confinanti può riferirsi a Chiulano come ai saltus praediaque Dinium, come anche ad entrambe le proprietà. Un ultima osservazione riguarda i praedia Caerelliano colle, che i Coloni Lucenses esplicitamente escludono dal patrimonio impegnato nella Tabula, che potevano forse trovarsi nell’area sud orientale del Vercellense, che ha le caratteristiche per essere definita ‘colle’ e dove Celio Vero possedeva un fundus Caerellianus.

Il territorio e i confi ni dei pagi ed il confine fra i municipi di Piacenza e Velleia

L’identifi cazione di due fondi di Marco Mommeio Persico, il Caninianus ubicato nel pago piacentino Venerio, e il Blassianus, appartenente al pago Lurate del territorio di Veleia, rispettivamente in Montecanino e in Lassano, e del fondo Antonianus di Caio Vibio Severo, situato sul confine fra i pagi Venerio e Lurate, in Antugnano mi induce a correggere rispetto alle ipotesi formulate in precedenza37 la posizione di questi pagi e la ricostruzione del confi ne fra Piacenza e Velleia. Conserverei dunque solo nel caso del Sulco l’ipotesi che i tre pagi Sulco, Venerio e Lurate, nell’ordine da ovest a est, si diramassero dal confine dell’Ambitrebio e avessero una parte minore in territorio di Veleia e un’altra maggiore in territorio di Piacenza. Oggi penso che il Lurate fosse un pago tutto veleiate di piccola dimensione situato nell’alto corso della Luretta, mentre il Venerio doveva essere sostanzialmente tutto piacentino ed occupare, in una misura non determinabile, la media valle della Luretta e il territorio compreso fra la Luretta e il Tidone.

36 Per dinia cfr.. Petracco Sicardi e Caprini, op. cit., p. 48, s. v. Dinium, Dinia. Un altro toponimo derivato da dinia è il monte Pradegna (*Petra de Dinia), situato sulla costa che fa da confine fra Bobbio e Mezzano (e fra il pago Eboreo di Libarna e il Domitio di Veleia). Ma qui è escluso che avessero delle proprietà i Coloni Lucenses.
37 Cfr. Petracco e Petracco Sicardi, Struttura delle dichiarazioni, cit., p. 255 e cartina a p. 247.
 

Ritengo perciò che il confine fra Piacenza e Velleia, partendo dal monte Lazzarello, in cui dovevano incontrarsi i territori di Piacenza, Libarna e Veleia, scendesse a Pecorara e di lì risalisse il Tidoncello di Sevizzano fi no al monte Serenda. Di lì doveva seguire verso nord la costa spartiacque fra i bacini del Chiarone e della Luretta e poi discendere il corso del ramo sinistro della Luretta fino alla confluenza dei due rami poco a monte di Piozzano. Dalla confluenza il confine seguiva, dividendo il pago Lurate dal Venerio e passando per Antugnano, una via publica che saliva fino al monte Travo, dove incontrava il confine del pago Ambitrebio. Di lì in poi sono possibili due ipotesi. La prima, che ritengo più probabile, è che il confine continuasse a seguire una via publica che percorreva la costa spartiacque fra la Luretta e il Guardarabbia, scendendo poi al Trebbia, tenendo all’interno del territorio veleiate, e del pago Ambitrebio, tutto il massiccio del Pillerone e anche Fiorano e Marano, e al di fuori, nel pago Minervio, che doveva occupare la riva sinistra del Trebbia, il fundus Scrofulanus di Cornelia Severa, riconosciuto in Scrivellano. La seconda ipotesi è che a dividere il territorio di Veleia da quello di Piacenza fossero le selve lungo il corso del Guardarabbia sinistro e quelle del monte Pillerone. In questo caso il confine avrebbe raggiunto il Trebbia poco a monte di Mezzanello (toponimo che indica che, in qualche momento della storia, di lì passava un confi ne) e Fiorano e Marano non potrebbero corrispondere al Furianus di Mommeio e al Marianus di Volumnio Epafrodito. Dall’altra parte del Trebbia il confine lasciava Fabbiano (il fundus Fabianus di Volumnio Epafrodito) in territorio piacentino e nel pago Vercellense, salendo in costa a Cà dei Cò (cò è la contrazione del latino caput ‘punto iniziale o terminale’), dove doveva trovarsi un trifinium, in cui si incontravano i territori del pago Vercellense, piacentino, e dei pagi veleiati Ambitrebio e Iunonio. Il pago Ambitrebio, esteso, come dice il suo nome, sulle due rive del Trebbia, era compreso fra i confini che tenterò di seguito di ricostruire. Partendo da Comezzano (*caput medianus), situato sulla sponda sinistra del Trebbia davanti alla confluenza nel Trebbia del torrente Perino, il confine fra i due pagi veleiati Ambitrebio e Domitio doveva seguire un percorso che correva a est delle rocce di Pietra Parcellara, passando intorno ai cinquecento metri di quota per le attuali località di Corbellino, Montà e Termine grosso, toponimo che nel suo nome contiene il ricordo del confine. Di qui passando per Scarniago saliva in costa nell’area di monte Bogo. Da questo punto il confi ne dell’Ambitrebio lo separava dal pago Lurate, scendendo probabilmente fi no al ramo di destra della Luretta e discendendolo per un tratto per poi risalire fino a monte Travo, dove iniziava la parte che ho già illustrato, in quanto coincideva col confi ne fra Piacenza e Veleia. In questo settore il pago Ambitrebio confinava sulla sinistra del Trebbia prima col Venerio e poi col Minervio, sulla destra del fiume con il Vercellense. Da Cà dei Cò il confine fra Ambitrebio e Iunonio correva lungo la costa spartiacque fra Trebbia e Nure. Il confine dell’Ambitrebio scendeva quindi in Trebbia lungo una costa selvosa che separa Stazzano (il fundus Statianus di Mommeio Persico), in Ambitrebio, da Viserano (il fundus Vicirianus della Tabula), nel pago Domitio, raggiungendo il Trebbia davanti a Caverzago. Di qui il confine risaliva per un breve tratto il Trebbia fino a Comezzano, dividendo la sponda sinistra, appartenente all’Ambitrebio, dalla destra, che era del Domitio. La distribuzione nel territorio dell’Ambitrebio dei patrimoni dei vari proprietari è illustrata nella cartina annessa allo studio,38 in cui si può scorgere la progressiva
formazione di latifondi, in uno stadio più o meno avanzato.

38 In essa le proprietà di chi ha dichiarato nella Tabula sono distinte da numeri: 1 = Mommeio Persico; 2 = Cornelia Severa; 3 = Volumnio Epafrodito; 4 = Vibio Severo; 5 = Volumnio Memore; 6 = Lucilio Collino; 7 = Celio Vero; 8 = Valio Vero; 9 = Coloni Lucenses.

ABSTRACT

The area around Travo, very conservative of Roman toponymy, is also the area in which almost one third of the agricultural value declared in the Tabula Alimentaria of Veleia is concentrated, mostly in the pago Ambitrebio. The author, after having exposed the methodology and the criteria used for the reconstruction, goes on to analyze the patrimonies of the big and the average Roman owners of the beginning of the second century AD, with the aim of placing the individual properties in the territory and illustrating the characteristics of every patrimony. The study concludes with a chapter dedicated to the reconstruction of the border between Piacenza and Veleia and of the territory included in the pago Ambitrebio.